Recensire un classico come La coscienza di Zeno di Italo Svevo non è semplice, soprattutto per l’elevato tasso d’inadeguatezza che può pervadere lo scrivente. Così, prima di iniziare a buttare giù qualcosa, rimani imbambolato a osservare la copertina, a sfogliare le pagine, a scarabocchiare con la penna, stropicciando il foglio di brutta copia, con la paura di scrivere frivolezze e, nello stesso tempo, con il desiderio di dare nuova vita alle parole che pulsano ancora all’interno delle pagine stampate. Partendo dalle difficoltà, tuttavia, il piacere di parlarne è pressappoco pari a quello di un dolce orgasmo causato dalla lettura di un grande romanzo della nostra letteratura.
Bene, proverò a recensire questo classico in tre punti principali, non in maniera capillare, (per questo ci sono le analisi del maestro Luperini) ma radicale, estremista, come mi piace (e secondo me si deve essere) con i libri. Per prima cosa partirò dalla definizione di Montale della Coscienza di Zeno quale romanzo assolutamente moderno ed europeo, estraneo al gusto dominante in Italia nel ’900, quello tipico del dannunzianesimo esaltato, simbolista e sbalorditivo. Rileggere oggi la Coscienza di Zeno spalanca la mente su temi che sono ancora alla nostra portata. Secondo punto: il personaggio, il borghese Zeno Cosini, intramontabile simbolo dell’uomo moderno, l’inetto, l’outcast, incapace di scegliere e di decidere. L’ignavo affetto da nevrosi, ossessionato dal vizio del fumo che inconsciamente addita al padre, quel padre che lascia come ultimo ricordo a suo figlio uno schiaffo sul letto di morte. Quel padre onnipotente che ci schiaccia e che tutti portiamo sulle nostre spalle, un po’ come Enea con il suo Anchise. Incontriamo tutti temi tipici del romanzo borghese: la moglie e l’amante, l’ossessione del denaro, la psicoanalisi. La Coscienza (o meglio l’Incoscienza) di Zeno è, infatti, un romanzo di psicanalisi caricaturale, un «diario truccato», così lo definì Montale, che Zeno scrive su suggerimento dell’inattendibile figura del Dottor S., stravolgimento della figura dello psicanalista, il quale induce il suo paziente a scrivere, per guarire, una storia della sua malattia. Il nevrotico Zeno, altrettanto inattendibile, abbandona la cura, dichiarandosi guarito nell’ultimo capitolo dai toni apocalittici e di aspra denuncia, presa di posizione che indurrà lo strano psicanalista a pubblicare per vendetta questo diario fittizio. Terzo punto la figura di Svevo, triestino, ignorato dalla critica e accusato di scrivere male, tanto che per alcuni anni, deluso e demotivato, abbandonerà la sua attività di scrittore, e riscoperto solo recentemente, È vero, Svevo non incoraggia al disordine o alla ribellione anarchica in un mondo intriso del fetore capitalistico, ma lancia un monito importante, un messaggio anticonformistico, un invito all’autoanalisi, all’autoconoscenza e alla presa di coscienza, all’adozione di uno spirito critico in una società malata alle radici.
Ho letto questo libro a sedici anni e ricordo che un’insegnante sbuffò annoiata per la pesantezza di questo romanzo. Se si potesse ritornare indietro gliene direi quattro. Se a scuola ci insegnassero a leggere più libri e a imparare meno dogmi, la gente non arriccerebbe il naso di fronte a questo romanzo. Vi consiglio di inserirlo nella lista di libri da leggere, lo consiglio perché estremamente attuale: insomma guardiamoci, dentro e fuori: siamo tanti Zeno Cosini, ossessionati dal gioco in borsa, dal potere delle armi, dall’impotenza quasi impartitaci dall’alto. L’autoconsapevolezza può portare a un risveglio delle menti. Svevo ce lo insegna forse con una pesantezza che è quella tipica del romanzo borghese, rintracciabile in parte anche in Moravia, ma con un sarcasmo e una follia fuori dall’ordinario: pensate all’esplosione finale e all’immagine di una terra finalmente libera dal suo parassita umano.
Silvana Farina
Italo Svevo, La coscienza di Zeno, Dalai Editore, 413 pp, € 5,16.