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La cosiddetta rivolta

Creato il 12 agosto 2011 da Malvino

La cosiddetta rivolta
In relazione ai disordini che hanno funestato il Regno Unito in questi giorni, si dovrebbe innanzitutto evitare l’uso del termine rivolta. Si è trattato senza dubbio di violenza collettiva, ma ad essa mancava l’unità di causa e di fine che nel moto rivoltoso è una costante. In quanti danno vita a una rivolta, infatti, potremo riscontrare quasi sempre ragioni diverse, variamente articolate, addirittura contraddittorie, e scopi differenti, differentemente espressi anche quando comuni, e anche qui contraddittori, ma che sono sempre componenti di un vettore univoco: date tutte le variabili, la rivolta ha sempre causa e fine nel potere costituito (o in una sua rappresentazione) che intende mettere in discussione.È per questo che una rivolta ha sempre una parola d’ordine che mira a reclutare forze, anche quando è solo implicita nei simboli che produce. Anche quando è velleitaria, la rivolta si dà come mezzo. Anche quando degenera in follia collettiva e si esaurisce nella drammatizzazione di basse pulsioni istintuali, la rivolta non perde mai di vista, o almeno mai del tutto, l’interlocuzione col potere costituito (o una sua componente).Tutto questo non è accaduto nel Regno Unito, anzi, tutto ciò che ha sembrato giustificare l’uso del termine rivolta – la protesta contro un presunto abuso delle forze dell’ordine – si è da subito rivelato inconsistente, buono tutt’al più a offrirsi come pretesto. Nel Regno Unito non è accaduto altro che quanto abbiamo visto a New York, col black out del 1977.E anche stavolta è stato fatto lo stesso errore di analisi, per fretta, pigrizia intellettuale, cedevolezza a suggestioni di comodo, secondo questo o quel comodo. Così abbiamo sentito madornali paragoni con le rivolte di Tunisia, Egitto, Libia e Siria, perfino con gli indignados di Madrid. Giacché il teatro dei disordini erano i suburbs, c’è chi ha pensato di poter vedere un analogo con le banlieues. E naturalmente c’è chi ha visto Londra stretta nel tristo nodo di “multiculturalismo”, “relativismo” e “islamismo” (Roger Scruton – Il Foglio, 10.8.2011). Non c’è stato nulla che autorizzasse tali congetture: i teppisti erano bianchi, neri e asiatici; indigenti, ma non solo; ragazzini, ma anche quarantenni; in gang, ma anche individualmente; miravano al saccheggio di beni di lusso, non erano espressione della “rabbia sacrosanta” dei morti di fame (Paolo Flores d’Arcais – Il Fatto Quotidiano, 10.8.2011), né erano parte del fronte di “un fenomeno di portata continentale” (Nichi Vendola – il manifesto, 10.8.2011).

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