A noi italiani piace molto fare i profeti di sventure. Ma cercare di evitarle?
La democrazia è cosa troppo seria per affidarla a politici.
L’articolo che leggerete viene da un conservatore. Che brutta parola. Con l’arrivo di Renzi a Palazzo Chigi, è il momento di essere radicali e decisi. L’Italia cambia verso. L’Italia non ha bisogno di una scossa radicale per essere rimessa in carreggiata? Allora, perché non mettere mano alla Costituzione che ha già troppi anni e non è più adatta ai tempi moderni?
Nel corso degli ultimi mesi ho sentito tante di quelle bestialità in materia di riforma delle istituzioni che mi chiedo se la razionalità abbia ancora cittadinanza in questo disgraziato paese. Probabilmente non ce l’ha mai avuta.
Esaminiamo quindi le proposte renziane, che hanno una buona probabilità di essere approvate nei prossimi mesi con un radicale cambiamento del nostro assetto istituzionale: abolizione e riduzione del ruolo del Senato, fine del bicameralismo perfetto, Italicum, ristrutturazione dei rapporti stato-regioni, senza dimenticare la legge che abolisce il finanziamento pubblico dei partiti, già approvata. Esaminiamole alla luce della Costituzione repubblicana.
La Costituzione del 1948 è una combinazione di idealismo e pragmatismo. Al suo interno possiede un programma di lavoro per le prossime generazioni, ovvero quello di costruire una repubblica partecipativa e meritocratica. Attraverso progressive riforme del sistema economico e sociale, la Repubblica deve rimuovere gli ostacoli che impediscono una vera uguaglianza fra tutti i cittadini, quella delle opportunità di migliorare la propria posizione attraverso l’educazione e il lavoro giustamente ricompensato.
Attraverso la partecipazione popolare, la Costituzione ha posto l’obiettivo di realizzare una comunità di cittadini attivi e consapevoli. Non si tratta semplicemente di esercitare il pur fondamentale diritto di voto alle elezioni, bensì di essere cittadini completi, attraverso l’attiva partecipazione nelle organizzazioni politiche, culturali, economiche, sociali e religiose, a tutti i livelli, nazionali e locali. L’Italia è un paese fratturato in una miriade di entità distinte, ma è proprio questa varietà che può diventare il terreno di coltura di una Repubblica autenticamente democratica, condivisa e amata da tutti. La Costituzione riconosce la diversità dell’Italia, la valorizza e propone lo sviluppo di tutte le sue componenti. La democrazia si realizza quando nessuna fede religiosa prevale sulle altre, quando alcuna classe sociale domina le altre, quando la maggioranza politica governa senza schiacciare le minoranze. La Repubblica italiana non appartiene alla maggioranza parlamentare del momento. Sembra una banalità ma in questi ultimi vent’anni si è formata l’idea che l’Italia debba essere per forza bipolare. Destra e sinistra.
Insomma, il cittadino non è un soggetto passivo chiamato a deporre un’urna una volta l’anno, ma deve esercitare una continua funzione di stimolo e controllo sulla propria classe dirigente. Tra l’altro, con buona pace dei grillini, la Costituzione prevede anche forme di democrazia diretta che integrano le strutture della democrazia rappresentativa classica: il referendum abrogativo, la petizione popolare, l’iniziativa di legge popolare e anche i partiti.
Accanto a questi principi ideali, su cui credo che possiamo essere tutti d’accordo, la Costituzione individua i meccanismi di base attraverso cui si prendono le decisioni. Chi ha scritto il nostro testo, ha avuto ben presente chi siamo e da dove veniamo. Soprattutto, conosceva bene i vizi delle nostre classi dirigenti e del popolo italiano, che portarono alla tragedia del fascismo e della guerra.
Siamo un popolo emotivo, complicato, diviso (i comuni, le leghe), pieno di paranoie (il grande vecchio, il complotto), un po’ più ignorante della media dei paesi industrializzati e amante del teatro, anche in politica. Piuttosto conformista e succube delle gerarchie tradizionali (il cavaliere, il vescovo, l’avvocato). Siamo dotati di un sano istinto di conservazione, per cui in realtà facciamo scelte più razionali di quelle che sembrano. Molto attaccati allo status (leggete La testa degli italiani di Beppe Severgnini). Flessibili di fronte al potere, individualisti, opportunisti. Poco amanti delle avventure, in fondo, tranne quando siamo esasperati. Speriamo che a fare la rivoluzione siano i carabinieri, possibilmente fuori dell’orario dei pasti. Vogliamo la moglie e l’amante, con la benedizione del parroco. Razionali quando ci conviene, più spesso condizionabili. Dalle emozioni, dai ricordi, dall’avere fatto sesso la sera prima, da una litigata con il marito, dalla manipolazione dei media, Internet compreso (quante bufale girano su Internet a cui ci aggreghiamo felicemente?)
In una parola, siamo esseri umani.
Autorità tradizionale della società italiana.
Sopra il popolo italiano, una distesa di autorità tradizionali, con pochi tratti di modernità: il dirigente di azienda, il prete, il politico, il funzionario pubblico, ciascuno con la sua piccola o grande rendita di posizione da difendere. Difende i privilegi, anche un ruolo sociale. Classe dirigente provinciale, poco europea, poco cosmopolita, poco italiana. Spesso incompetente, che privilegia le amicizie alle capacità, immersa in reti clientelari difficili da sradicare, non solo nelle regioni più arretrate del mezzogiorno. Dirigenti con una mentalità feudale che. in cambio della passività delle masse, restituisce in parte ciò che ha accumulato, con meccanismi redistributivi paternalistici. Pensiamo a Siena, città civilissima e allo scandalo del Monte dei Paschi, specchio delle virtù e dell’incapacità dei leader italiani tradizionali. Classi dirigenti che, quando sono impaurite, sono capaci di creare mostri come il fascismo, salvo poi pentirsene amaramente ma che, nei momenti migliori, sotto lo stimolo del popolo, sono capaci di produrre i cambiamenti necessari.
Chi ha scritto la Costituzione del 1948 aveva presente i limiti e le doti degli italiani. Ha creato consapevolmente un sistema parlamentare molto conservatore, pur avendo posto agli stessi politici obiettivi elevatissimi. La Costituzione ha questa inerente contraddizione tra gli alti ideali da raggiungere e la lentezza dei meccanismi decisionali. In realtà, questa non è una contraddizione. È una scelta ben precisa, frutto non solo di un nobile compromesso tra i grandi partiti politici del dopoguerra ma anche della consapevolezza che una società come l’Italia può progredire solo nell’accordo tra le sue componenti, se vogliamo, democristianamente. Altra orribile parola. Scusate.
La Costituzione del 1948 ha creato governi deboli e un parlamento forte. Ha creato meccanismi decisionali lenti, basati sulla doppia lettura delle leggi da parte della Camera e del Senato, che hanno uguali poteri. Ha creato l’istituto della fiducia, per cui nessun governo è pienamente in carica senza un voto del parlamento. Ulteriore filtro all’azione è la possibilità per il Presidente della Repubblica di chiedere una nuova deliberazione.
Manifestazione negli anni settanta per l’aborto.
Negli anni sessanta e settanta un parlamento conservatore e dominato dalla Democrazia Cristiana (ma fortemente pungolato dalle domande popolari di quegli anni in cui nacque la società civile italiana) è stato capace di varare riforme epocali come la nazionalizzazione dell’energia elettrica, lo statuto dei lavoratori, la riforma del diritto di famiglia, il divorzio e l’aborto.
Le migliori leggi hanno richiesto anni di dibattito sia parlamentare che extraparlamentare. Forse non si capisce mai abbastanza che non è necessario fare una legge ogni volta che c’è un disastro naturale. Basta applicare quelle esistenti. E l’applicazione delle leggi è compito del governo e dell’apparato statale che da esso dipende. Il governo non ha bisogno di nuove leggi se vuole combattere seriamente la mafia, le speculazioni bancarie, il tifo violento negli stadi e la crisi economica. Se uno guarda alla realtà degli ultimi vent’anni, il problema dell’Italia non è mai stata la difficoltà del parlamento a fare leggi. Semmai il contrario. Il parlamento ha legiferato sempre e unicamente quando lo voleva il governo.
Sto dicendo un’altra enorme banalità ma la democrazia è un sistema di equilibri. Un governo più forte ha bisogno di un parlamento più forte ed autonomo. La dialettica Presidente-Congresso, tipica degli USA, è frutto di meccanismi istituzionali che creano un Congresso autonomo, slegato completamente dal meccanismo elettorale presidenziale. Così si costruisce un fortissimo baluardo agli abusi dell’esecutivo.
Non solo. Accelerare i meccanismi decisionali incoraggia le decisioni forzate basate sulle maggioranze parlamentari che non tengono conto delle esigenze di una società complessa. Basti pensare all’assurda legge sulla fecondazione assistita, imposta a maggioranza da Forza Italia su impulso dei settori più reazionari del Vaticano contro il comune sentire degli italiani.
Con ciò non sto rimpiangendo i bei tempi della DC. Per carità. Non guardiamoci indietro. Cerchiamo di portare miglioramenti alla Costituzione. Ma chi pensa che basti una sola Camera per rendere l’Italia più moderna ed efficiente sta propagando un’enorme sciocchezza.
Invece le proposte renziane vanno esattamente nella direzione di ridurre ulteriormente il ruolo del parlamento e dei parlamentari, rafforzando la deriva cesarista degli ultimi vent’anni a cui si aggiunge la pessima legge elettorale proposta. L’Italicum è una versione più raffinata del Porcellum. Risolve il problema della formazione di maggioranze diverse tra Camera e Senato, ma è peggiorativa in quanto restringe le possibilità di scelta dei cittadini a due soli partiti, con un meccanismo fintamente a doppio turno. Perché finto? Perché in entrambi i due turni, la scelta è praticamente ristretta a due partiti. Senza parlare, poi, delle liste bloccate. In pratica, l’Italicum riproduce il perfido meccanismo degli ultimi vent’anni, riducendo i cittadini a meri sottoscrittori di una crocetta su una scheda. In combinazione con la fine del bicameralismo perfetto va ad intaccare una delle sagge precauzioni della Costituzione, ovvero quella di evitare esecutivi troppo forti.
L’Italia non è l’Inghilterra. Avere governi troppo forti, sembra una contraddizione, è fonte di instabilità. Incoraggia le decisioni di cortissimo respiro, il cesarismo dei leader, l’accumulo di risorse per finanziare la campagna elettorale permanente. Incoraggia le divisioni di una società già divisa. Diminuisce la partecipazione popolare. Aliena le minoranze, con il rischio di aumentare l’instabilità sociale. Tra l’altro, l’alterazione dei rapporti tra governo e parlamento avrà conseguenze anche sull’elezione delle istituzioni di garanzia, ovvero il Presidente della Repubblica, il Consiglio Superiore della Magistratura e la Corte Costituzionale, per non parlare della possibilità di introdurre più facilmente riforme costituzionali.
Immagine dell’Italia contemporanea.
Le proposte Renzi vanno lette anche alla luce della controriforma in materia di rapporti Stato-Regioni. Un rafforzamento del governo potrebbe essere bilanciata dalla trasformazione in senso federale dello Stato. Invece si va al contrario. Sempre con l’idea demagogica del risparmio, Renzi ha proposto il rimpatrio a Roma di alcune competenze devolute o semidevolute alle regioni, come il commercio estero, l’energia, il turismo, le grandi reti infrastrutturali. Non si tratta in sé di idee sbagliate, viste le follie delle regioni, ma la mia impressione è che si cerchi di restituire allo Stato un potere di decidere proprio su quei grandi progetti in cui maggiori sono le controversie e dove sarebbe invece necessario spiegare ai cittadini il senso delle scelte, invece di imporle, come la TAV Torino-Lione.
Insomma, l’Italia ha sì bisogno di uno stato che decida ma anche di uno stato che ascolti.
Tra le altre bestialità di cui sento parlare c’è l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti.
Ora, chi scrive è convinto che la lotta agli sprechi e alla corruzione cominci dal tagliare le unghie ai politici, ma non crede che abolire il finanziamento pubblico sia una soluzione. Anzi, è il classico rimedio demagogico che rischia di essere peggiore del male. Per farvi capire di cosa sto parlando, ritorno nuovamente alla Costituzione. Art. 49, “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.”
Raramente qualcuno si sofferma sul fatto che i partiti politici italiani non abbiano alcun obbligo alla democrazia interna. Lasciamo perdere Forza Italia. Lo stesso PD non è un’organizzazione democratica. I suoi iscritti, non hanno una vera e propria voce in capitolo. L’apparato predomina nettamente sui singoli. È vero che da anni si fanno le primarie (e meno male sennò nel 2013 avremmo avuto Amato come candidato a primo ministro) ma in realtà la democrazia interna è molto labile.
Non solo. Nessuno ha mai voluto imporre ai partiti regole di contabilità, con verifica da parte della Corte dei conti, per verificare la provenienza delle loro entrate e controllarne l’uso. Questo, a prescindere dal finanziamento pubblico dei partiti. Anche qui, è vero che i grillini possono prendere il 25% dei voti spendendo un centesimo dei partiti tradizionali ma il punto centrale è il fatto che la società sia in grado di controllare in bilanci dei partiti come avviene per le società quotate in borsa.
La politica costa. E le grandi lobby hanno soldi da buttare. L’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti avrà l’effetto positivo di ridurre gli sprechi, ridurrà il peso dei partitini (che pure rappresentano componenti della società italiana), ma aumenterà il peso delle lobby, come avviene in America, dove l’oligarchia finanziaria, agricola e industriale controlla le elezioni per il Congresso. In questo senso, c’è solo da sperare che la scommessa grillina di una politica senza costi inutili abbia successo, anche se dubito che il Movimento Cinquestelle potrà restare immune a lungo dalla realtà umana.
Sì, la realtà umana. Nonostante Internet e la televisione, gli uomini sono gli stessi, avidi, limitati e corruttibili. I padri e le madri costituenti del 1948 l’avevano capito benissimo.