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La costruzione della nazionalità indiana: nazioni ed etnie (Parte 1 di 5)

Creato il 22 gennaio 2012 da Davide

Gli indiani del Nordamerica appartengono a circa 300 lingue diverse e sono divisi in riserve grandi e piccole che vengono percepite attualmente come delle patrie, anche se la maggior parte degli indiani americani vive in città e molti di essi siano, a tutti gli effetti, da considerarsi detribalizzati. Il nostro scopo è di scoprire se si possono applicare agli indiani le nozioni di nazione e nazionalismo, se essi si percepiscono come un’unica o più nazioni, se i loro vicini e i non indiani in generale li considerano come nazione separata e se esiste un corpus legale, che li considera non solo e genericamente come minoranza, ma come nazione/i.
Non c’è alcun dubbio che, nell’immaginario collettivo, le cosiddette tribù indiane siano percepite come un qualcosa di unico, che esista quello stereotipo di tipo nazionale, “l’indiano medio”, come esiste lo stereotipo dell’italiano, del tedesco, dell’irlandese e così via. Questo è tanto più vero, con l’aiuto di Hollywood e dei media, in una società fortemente etnicizzata come quella nordamericana.
Già in queste poche righe, peraltro, ci scontriamo con parole da definire come “nazione”, “etnia”", tribù”, a cui dovremo poi aggiungere “razza”; quindi procederemo ad esaminare le definizioni correnti per vedere se si applicano agli indiani americani. Il nostro problema sarà poi quello di vedere come gli «abitanti del villaggio primordiale dove tutti si conoscono» (Anderson 1996:25) , si sono trasformati in nazione/i.
L’idea di nazione, secondo Petrillo, «è un concetto proprio della cultura europea, che l’ha diffuso in tutto il mondo, ma risulta del tutto indefinibile in modo scientifico. Esiste tuttavia innegabilmente un’idea “nazionalitaria”, ossia l’autoidentificazione di comunità di persone (variamente denominate) aventi tratti comuni come, in tutto o in parte, lingua, religione, costumi, territorio di residenza stanziale. Tale idea, formatasi nei secoli, divenne pienamente cosciente nella cultura europea in seguito alle guerre napoleoniche (1797-1813)» (Petrillo 1995:25).
José Gil (1980:823-852) afferma che «la nazione è un’idea relativamente recente» che, in quanto idea alla quale corrisponde una precisa realtà giuridico-politica, «assume forma compiuta nel secolo XVIII in Europa. Se la rivoluzione francese trasferisce costituzionalmente la sovranità dal re alla nazione (1791) – seguendo ed evidenziando le esperienze delle rivoluzioni inglesi del 1644 e 1688 e della dichiarazione d’indipendenza americana (1776) – è perché l’idea di nazione è il luogo più adatto per definire questo tipo di potere: la nazione è un’entità autosufficiente e originale, in cui si cumulano gli elementi necessari per diventare la base della sovranità politica». Queste caratteristiche derivano giuridicamente dal diritto naturale moderno (Althusius, Grozio, Hobbes, Locke, Pufendorf, Rousseau), che «opera una cesura radicale con il diritto naturale relativo di san Tommaso, dissacrando il fondamento della legge». Alcuni principi comuni delle varie dottrine che giungono a formare l’idea di nazione sono l’associazione, il patto o il contratto sociale, per cui gli uomini abbandonano lo stato di natura e iniziano la vita sociale, cedendo i propri “poteri naturali” a una sovranità sociale. In questo senso la società è priva di origini, si è creata con i propri mezzi e non vi è più peccato originale che segni l’inizio dell’umanità. L’origine dell’uomo è perciò pura e la sua natura innocente. Oltre a ciò, mediante il contratto sociale si costituisce una società politica: l’instaurarsi della società va automaticamente di pari passo con l’istituzione del potere statuale e in certi autori società e stato addirittura si confondono. Alla fine del Settecento il termine nazione ha l’accezione di «una comunità politica compiuta e naturale, cioè un corpo comunitario compiuto politicamente come se esso fosse una società funzionante in modo naturale alla stregua di un organismo o un essere appartenente alla natura». La nazione, però, è anche la conseguenza del trasferimento a un corpo legislativo degli attributi della sovranità regale. I giuristi legati al re e, prima di loro, i teologi della Chiesa, elaborarono a poco a poco il diritto monarchico, come i teologi avevano fatto per quello canonico; fra le idee elaborate vi è quella di nazione, «idea della comunità sotto il potere del sovrano, che doveva essere definita partendo da lui, mantenere certi legami con lui, essere sentita e rappresentata in stretto rapporto con lui». Nell’Inghilterra anglicana del Cinquecento, in particolare, i teorici della monarchia svilupparono l’idea dei “due corpi del re”, quello naturale e quello politico, spostando impercettibilmente il significato di alcune nozioni del diritto canonico e della teologia medievale e trasformandole in concetti nuovi, tesi a definire meglio il potere secolare del re. “Bisogna cercare in quest’ambito l’origine territoriale di “nazione”, risalendo al “corpo mistico” della Chiesa del secolo XII. Per esempio, Kantorowicz ripercorre il cammino della parola “patria” che, caduta in disuso nell’alto medioevo (aveva conservato solo il significato religioso di “patria celeste” o “regno di Dio”) ricupera, dopo le Crociate, il senso di un territorio in cui si esercita il potere monarchico (soprattutto quello di riscuotere imposte): la difesa della patria da parte delle forze del re (donde la necessità delle imposte) si pone come naturale conseguenza della difesa di Gerusalemme, città santa, “patria del cristiano” (che va di pari passo con l’imposizione dei tributi). La “patria”, fino alla rivoluzione francese, avrà poi una funzione decisiva, all’interno del discorso filosofico e politico, nel far nascere il significato moderno di “nazione”. I giuristi, favorendo la secolarizzazione dello Stato, collegavano la collettività dei sudditi non più alla Chiesa e perciò al corpo di Cristo, ma al corpo del re. Il modello diventava quindi il corpo umano, come nell’apologo latino dei patrizi e dei plebei, solo che adesso è il re che è assimilato alla testa e intorno a questo modello si costituiscono anche altri concetti, come quello di patria, di cui il re è il padre. I contenuti fortemente emotivi della “patria” si trasferiscono nella “nazione”, “quando la “patria”, terra natia, collettività concepita sul modello della famiglia, con antenati, padre, tradizioni, si sarà liberata dalla zavorra dei suoi tutori e della sua genealogia. Così la nazione nasce solo quando il corpo politico si sarà conquistato la completa sovranità, che gli conferirà lo status di entità autosufficiente. La precipitazione semantica del termine “nazione” si ferma a partire dal XVI secolo, quando esso trascina sempre con sé il senso di “comunità politica specifica”, senza connotazioni mistiche e religiose e tale caratteristica sarà essenziale nel senso che “nazione” assumerà più tardi, quello di identificazione sociale. La nazione sostituirà il fattore personale, il corpo del re, con un concetto, quello del corpo collettivo separato dal monarca, anch’esso in grado di dare un volto alla comunità. Infatti “nazione” differisce da “popolo” e da “patria” in quanto designa invariabilmente una collettività organizzata, distinta dalle altre, e organizzata perché distinta. Anche negli usi più generici di “nazione”, dove il termine si identifica quasi completamente con “popolo”, esso contiene in più l’idea di una coesione che, pur non implicando questa o quella forma di organizzazione politica, ha una solidarietà interna che le viene di fatto dal differire da altri complessi dello stesso tipo. E tale solidarietà interna non è essenzialmente culturale (come per il termine “patria”), ma innanzi tutto politica, in senso lato. Questo concetto si svilupperà completamente dall’Ottocento in poi. «La nazione è la società politica edificata a mano a mano che si costruisce lo Stato. Ad esso essa è intimamente legata, come pure all’altro fattore decisivo nello sconvolgimento dell’ordine sociale tradizionale, l’industrializzazione»(Petrillo, ibidem).(continua)

 Anderson, Benedict, Comunità immaginate. Origini e diffusione dei nazionalismi. Manifestolibri Roma 1996, p. 25

Petrillo, Gianfranco, Nazionalismo, Editrice Bibliografica, Milano 1995, p.25.

 Gil, José, Nazione, in Enciclopedia, vol. 9, Einaudi, Torino, 1980, pp. 823-852.

Kantorowicz, E. H., The King’s Two Bodies. A study in Medieval Political Theology, Princeton University Press, Princeton, N. J. 1957.


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