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La costruzione della nazionalità indiana: nazioni ed etnie (Parte 3)

Creato il 26 gennaio 2012 da Davide

Non c’è alcun dubbio che il concetto di nazione non si può applicare a nessuna delle società agricole neolitiche nello spettro che va dalle “tribù” della Nuova Inghilterra con i loro sachem (capi) e powwow (sciamani) al chiefdom Powhatan, pur con tutti i suoi gruppi tributari. Ancor meno si può applicare, evidentemente, alle società cacciatrici raccoglitrici in uno stadio tecnologico paleolitico.
Il capitolo tragico e oscuro delle guerre fomentate dalla caccia agli schiavi, che i militanti nazionalisti indiani cercano di ignorare nel modo più assoluto, ci conferma ulteriormente che gli indiani non si potevano considerare una sola nazione. Le tribù aggredivano le tribù e vendevano i prigionieri a inglesi, francesi e spagnoli e da questo gioco al massacro talvolta si salvarono quelli che furono più feroci e aggressivi contro i propri vicini.

Parlando del sorgere della potenza dei commercianti delle Caroline tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo, J. Leitch Wright, Jr. osserva:

«Molto prima delle grandi scorrerie schiaviste della Guerra della Regina Anna (1702-1713) i Caroliniani avevano provocato ostilità allo scopo di assicurarsi prigionieri. I savannah combattevano i westo, i lower creek calarono sugli apalachees, i machapunga sorpresero i coree, gli yamasee diedero la caccia ai timucua e così via. … Erano gli aborigeni che catturavano la maggior parte degli schiavi. Gli spagnoli a San Augustìn si lamentarono più volte che gli yamasee e altri indiani filo Carolina sorprendevano i villaggi circostanti, colpendo senza preavviso nel cuore della notte come esperti scassinatori, muovendosi velocemente da una casa all’altra, scegliendo solo le donne e i bambini più sani e robusti, scomparendo poi nella foresta prima che gli uomini indiani e le truppe potessero organizzare qualche resistenza. Una ragione per cui gli attaccanti avevano tanto successo era che le loro mogli o i loro parenti spesso vivevano in questi villaggi, fornendo informazioni e servendo come guide» (Leitch Wright 1981:140-142).

Queste osservazioni ci fanno capire chiaramente che l’identificazione e la distribuzione della lealtà di gruppo avveniva soprattutto a livello di famiglia estesa e di clan. Quando un villaggio indiano era in guerra con i bianchi, un altro villaggio della stessa “tribù” poteva benissimo essere in pace. Se avvenivano incresciosi episodi per cui un villaggio “pacifico” veniva attaccato dai bianchi, ciò avveniva spesso perché erano i bianchi che identificavano gli indiani come “tribù” o “nazione” e quindi erano ostili a tutti quelli identificati come tali.
Le guerre intertribali che insanguinarono l’America orientale furono anche caratteristiche dei territori oltre il Mississippi dopo il 1800. «Le guerre intertribali furono sfruttate dai bianchi, ma erano endemiche nelle Grandi Pianure da secoli” osserva lo storico T. W. Dunlay (1982:110) nel suo libro sugli esploratori indiani impiegati dall’esercito degli Stati Uniti alla fine delle guerre indiane e aggiunge: “Studiosi competenti hanno concluso che sono morti molti più indiani nelle guerre intertribali del XIX secolo che nelle guerre contro i bianchi». Spesso, anzi, i bianchi rappresentarono una risorsa per le tribù piccole o peggio armate. In molti casi i capi trovarono che i nemici indiani rappresentavano una tale minaccia alla loro sopravvivenza che qualsiasi problema creato dai bianchi sembrava loro del tutto secondario. I teton sioux, ad esempio, erano una tale minaccia per i malcapitati che si trovavano sulla strada del loro espansionismo, che molte tribù si allearono contro di loro e con i bianchi, mentre altre restarono neutrali e si rifiutarono di aiutarli. «E’ evidente che gli indiani che combatterono per l’esercito contro altre tribù non si consideravano rinnegati o traditori di un ipotetico popolo “indiano”. … In qualche caso l’esercito rappresentava la sopravvivenza stessa» (Dunlay 1982:125) Gli scout indiani servirono virtualmente in ogni teatro e in ogni conflitto indiano oltre il Mississippi e, anche se il modo e l’efficacia con cui erano impiegati potevano variare, difficilmente l’esercito americano tentò di farne a meno.

«Spesso gli scout combatterono un numero sproporzionato di scontri e di frequente rappresentarono la differenza tra il successo e la frustrazione. Talvolta il cliché dell’arrivo della cavalleria giusto in tempo per salvare i malcapitati commilitoni o i civili venne rovesciato e la cavalleria fu salvata all’ultimo minuto dagli indiani. Anche se l’utilizzo quasi universale degli scout testimonia della loro efficacia, alcuni bianchi non riuscirono mai a superare i dubbi sulla loro lealtà, specialmente quando gli scout impiegati erano strettamente collegati per lingua e cultura agli “ostili”.… Quelli più strettamente associati agli scout indiani, comunque, in generale testimoniarono sulla serietà in cui essi prendevano il giuramento di arruolamento e i loro obblighi come essi li percepivano» (Dunlay 1982:200).

E’ evidente, da quanto detto, che non si può applicare il concetto di nazione agli indiani non solo al tempo del contatto, ma anche molto più tardi e cioè fino alla fine delle guerre indiane, quando gran parte delle “azioni di polizia” condotte dall’esercito vennero grandemente rese più efficaci dalla presenza di ausiliari indiani. Questo è particolarmente vero soprattutto nelle guerre Apache, dove guerrieri della stessa “tribù” potevano trovarsi come combattenti tra gli ostili e, non molto dopo, arruolati nell’esercito contro i propri amici. Inutile dire che gli Apache non avevano idea di essere delle tribù o delle nazioni finché non glielo imposero gli americani. Erano invece gli ufficiali americani che spesso avevano dubbi sul possibile “tradimento” dei loro ausiliari indiani, perché applicavano loro ragionamenti di tipo nazionalista.

Leitch Wright, J. Jr., The Only Land They Knew. The Tragic Story of the American Indians in the Old South. The Free Press, New York 1981, pp. 140-142.

Dunlay, Thomas W., Wolves for the Blue Soldiers. Indian Scouts and Auxiliaries with the United States Army, 1860-90, University of Nebraska Press, Lincoln 1982, p. 110.


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