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La costruzione di una finta felicità.

Da La Dona

[on air:Ray LaMontagne Trouble]
L’albero di Natale, il presepe, il pranzo con i parenti si scontravano con la paura che bevesse, alla paura che tutto quel lavoro sarebbe stato inutile. Nessuna cosa bella avrebbe potuto contrapporsi alla paura, alla puzza di alcool, alle urla. È che ricordo la messa in scena. Le canzoni di Natale, o l’Ave Maria di Schubert che arrossava i suoi occhi e quel rossore mi commuoveva e mi sentivo mostruosa per aver pensato di lui certe cose brutte, mi sentivo mostruosa per la paura che mi faceva. E quella paura non se ne è mai andata. Fino al giorno della sua morte. Fino all’istante in cui quegli occhi lucidi mi hanno guardata imploranti di sottrarlo a quella fine. E io ho sperato che quella fine arrivasse. Ho avuto paura di stare vicino a un padre morente. E lui l’ha sentita questa mia paura. E lui è da me che è venuto dopo la sua morte. Mi ha svegliata, e mi ha dato una carezza e mi ha chiesto scusa per avermi insegnato la paura.
Non ho la capacità di perdonare. Non ho la capacità di  costruire una finta felicità.



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