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Un uomo viene lasciato dalla moglie e nello stesso giorno viene licenziato, alla ricerca di una spalla amica su cui piangere inizia una serie di peregrinazioni fra famigliari, amici, conoscenti e amici della moglie, ma tutti sembrano presi da una crisi personale (ognuno diversa dall'altro), ognuno incapace di affrontarla se non reazioni isteriche. Unica persona che si interessa dei suoi problemi è un buffo ometto, all'apparenza non completamente in asse, che però lo ascolta volentieri per poter scroccare birra, cibo e viaggi. A partire da quell'unico contatto l'uomo inizierà una crescita personale che lo porterà a capire i motivi della moglie e a scendere a patti con la vita.
Commedia francese frenetica e folle. Nella prima metà il ritmo è altissimo, i dialoghi rapidi come mitragliatrici e due volte più efficaci (divertono moltissimo, criticano la società con il giusto mix di ironia e demenza), le scene sono tutte situazioni surreali ai limiti del paradosso che funzionano perfettamente ed i personaggi messi in gioco (niente più che macchiette) rappresentano un intera classe, sistema o gruppo di persone. In una parola, la prima metà è perfetta.
La seconda metà invece tira il freno a mano. Il film rallenta, la fuga da una persona all'altra cessa (ricomincia brevemente solo come scusa per mostrare i vari sistemi per uscire dalla crisi) e da una commedia demenziale l'opera diventa un film di formazione. La morale è urlata continuamente, il buonismo gronda a litri e le sequenze (pur con alcuni estremi surreali, come lo yoga e la vita ascetica mutuate da un tappeto) divengono prevedibili e stantie.
Peccato; ma la prima metà vale la visione, anche da sola.