“La fine della crisi è più vicina”. O forse no è soltanto che “un anno fa non sapevamo di essere in crisi, mentre adesso ne abbiamo consapevolezza”. Potrebbe essere un contorcimento dialettico degno di Formigoni e invece è tutta farina del sacco di Monti, anche se la platea è sempre quella del meeting di Comunione e liberazione, un reperto del berlusconismo insensibile alla vacuità, anche quando si taglia col coltello. Ma almeno sappiamo che se gli italiani hanno finalmente capito di essere in crisi il governo è inconsapevole di come uscirne: contrariamente alle tradizioni del meeting, luogo di disvelamenti agostani a tradimento, il premier non ha detto una sola parola su piani e azioni future.
Rimane dunque solo l’ossessivo tentativo di allontanare da sé qualsiasi responsabilità. E come corposo residuo di questo faticoso affabulare non rimane che la notizia del rinvio, anzi meglio naufragio di qualsiasi intesa fiscale con la Svizzera – una cosa sulla quale avrei scommesso qualsiasi cifra – a testimoniare di una equità esistente sempre nelle parole e mai nei fatti. E soprattutto che la lotta all’evasione, anche quella solo “narrata” sui giornali e al convegno, non sfiora la grande ricchezza. Del resto Monti è per prima cosa amico della razza padrona che ne ha creato e vegliato la carriera, poi membro di trilateral e bilderberg, poi professore e infine premier italiano: prima vengono le amicizie consolidate negli anni, poi i legami con il “liberismo attivo” sul piano europeo e internazionale, poi l’ideologia e infine il Paese. E’ all’incrocio fra questa complessa triangolazione che si situano insieme il prestigio del prof, la sua gestione fallimentare e il tentativo, peraltro non difficile con tutti i sinistri amici dei Riva di cui abbiamo ormai contezza, di spostare tutto a destra l’asse politico.
Il punto in cui tutte queste vie s’intrecciano è anche quella dove insiste l’ambizione dell’uomo, deciso a fare tutto per sedersi al Quirinale. Per cui non c’è da stupirsi della sua discesa in campo a fianco del mentore Napolitano e la sua ferma intenzione di favorire la casta politica con una nuova legge bavaglio anche se essa si dovesse dimostrare un disastro nella lotta alla criminalità organizzata. Non è cambiato molto da quando c’era Berlusconi: il nano di Arcore per mantenersi in piedi si comprava i parlamentari. Adesso non ce n’è più bisogno, basta svendersi ciò che rimane del Paese, non solo le sue ricchezze materiali, ma anche la sua dignità.