11 MAGGIO – Il prossimo primo luglio la Croazia diventerà il ventottesimo Paese membro dell’Unione Europea, avvenimento che preannuncia l’apertura di tutta una serie di questioni irrisolte, evidenziate fin da quando, nel 2011, il Parlamento Europeo votò a favore dell’allargamento. Non si tratta solo di lamentare il probabile aumento di spesa che la stessa UE dovrà sostenere per rendere possibile questa complessa operazione, cosa del resto già vista con l’ingresso di altri Stati dell’est dal passato economico molto fragile, quali Romania e Bulgaria. Non si tratta neppure di ricordare l’altro dato oggettivo, piuttosto scoraggiante, che vede la Croazia come un Paese che per anni ha posto in essere una slavizzazione imperante verso la minoranza italiana, violandone apertamente i diritti e rifiutandosi poi di corrispondere qualsivoglia risarcimento.
L’ambasciatore croato in Italia Vidošević ha recentemente affermato che “(…) in questo momento, una grande attenzione viene dedicata anche al settore bancario, in mani estere per un’alta percentuale (…) Le due più grandi banche croate appartengono ai gruppi Unicredit e Intesa Sanpaolo”, con ciò evidenziando la necessità di riappropriarsi di tali partecipazioni per far sì che il capitale di quelle stesse banche, ossia il capitale croato, resti nelle mani del governo di Zagabria. A questo punto, però, non è difficile prospettare conseguenze evidentemente incerte per i gruppi bancari in questione e per la stessa Italia, allo stato attuale già molto fragile dal punto di vista economico.
Sotto tutt’altro profilo, invece, guardando alla produzione vinicola, appare ormai chiaro come il governo di Zagabria sia in rotta di collisione con il Belpaese anche per un’altra questione. “Se vogliono la guerra del vino, l’avranno” ha commentato nei giorni scorsi Andro Tomic, un produttore vitivinicolo croato che ben esprime la posizione del nuovo Stato membro sulla questione del Prosek. In otto anni di trattative, mai nessun ministro del Paese si è posto il problema di salvaguardare la denominazione di questo famoso passito. Ora, però, si fanno sentire molte aziende locali che temono di perdere l’etichetta, nota in tutta la Dalmazia. L’aspetto più assurdo della vicenda è che i due vini non hanno nulla in comune né per sostanza, né per etimologia del loro nome –la denominazione “Prosek” deriva infatti dall’omonimo castello croato mentre “Prosecco” in lingua veneta significa “prosciugato”-.“Il Veneto è il primo produttore di vino per quantità e Verona è la prima in Veneto” aveva affermato Flavio Tosi all’inaugurazione dell’ultima edizione del Vinitaly, la 47^. Con ciò aveva anche ribadito quanto importante sia, per la nostra agricoltura, il mercato estero che da sempre premia l’economia veneta. “La lotta al falso vale al Veneto circa 400 milioni di euro ogni anno –aveva poi specificato Luca Zaia- e sul tema della rintracciabilità dei prodotti è essenziale che l’Europa ci ascolti”. Adesso non resta che vedere a chi darà ragione l’Unione Europea, anche se c’è da aspettarsi che, perdendo l’etichetta tanto amata, la Croazia si vendichi sulle banche italiane che finora hanno fatto affari sul suo territorio.
Silvia Dal Maso
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