Si può farsi un’idea di un popolo dalla sua letteratura?
Spero di no. Per i giapponesi, dico.
Prendiamo Tanizaki.
Se non consideriamo “Neve sottile”, molto delicato e infarcito di japonesisme, e prendiamo, ad esempio, “La chiave” oppure “Il diario di un vecchio pazzo”, uno si fa l’idea dei giapponesi come gente quanto meno sessualmente malata (sebbene io personalmente non abbia ancora trovato una definizione ufficiale mondialmente valida di malattia, lasciamo stare l’OMS).
Ora che sto leggendo “La croce buddista”, i dubbi aumentano.
Tema: due donne si innamorano l’una dell’altra. Una è sposata, l’altra no, ma ha uno pseudoragazzo impotente. Il marito della prima sa del rapporto omosessuale delle due. Il ragazzo della seconda, idem: ma sottoscrive una specie di contratto con l’amante della fidanzata affinché mantengano i rapporti anche dopo il matrimonio; lui, per suo canto, si impegna a non far figli con la futura moglie.
Ma che bel quadretto.
“Non c’era alcuna ragione di essere gelosi, essendo la natura dell’amore omosessuale assolutamente diversa da quella dell’amore eterosessuale. Era un errore pensare di amare da soli una creatura così bella. Sarebbe stato naturale che si fosse in cinque o anche in dieci ad adorarla: possederla in due era una fortuna immeritata. Lui come unico uomo e io come unica donna: chi a questo mondo era più beato di noi?”
Ma forse, a ripensarci…
Insomma: se un marito mi deve tradire, sarebbe più accettabile che lo facesse con un uomo, che con una donna. Perchè con un uomo non posso comunque competere…
Voi che ne pensate?