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la cultura e la conoscenza

Creato il 16 dicembre 2013 da Fernando @fernandomartel2
Forse non é mai stato differente,. Forse le cose sono sempre andate così; le persone di ambienti diversi, si formano carattere ed opinioni, in base all'inquadratura che gli fornisce, l'ambiente in cui si formano e consumano i propri giorni. E' possibile che se tutti siamo solo il prodotto del mondo in cui viviamo, siamo tutti inconsapevoli delle cose che facciamo e quindi innocenti degli errori commessi. Almeno fino a quando si possa dimostrare che quegli errori sono stati capaci di insegnarci qualcosa, di cambiare, di allargare l'ottica da cui guardiamo agli altri. Ma se dopo, anche dopo dieci anni, gli errori che continuiamo a fare sono gli stessi di sempre, allora bisogna prendere atto che quello che ci spinge a tal comportamento, è solo la cultura dalla quale derivi: sei tu. Nulla e nessuno potrà mai sapere da cosa é davvero determinato il nostro egoismo, la chiusura mentale sofferente di chi é razzista, sessista o altro, certo é che l'ottusità del modo in cui uno chiude la sua porta agli altri, al nuovo ed al diverso, non fa vivere bene nessuno. Quando sono arrivato in Piemonte ero poco più di un ragazzo. In pieno '68. tra i giovani c'era più commistione, più occasioni di incontrarsi ed interagire, ci stavamo conquistando più libertà. Ma dovette passare quella festa e ritrovarci negli anni '80 per fare un pò di conti con quello che era successo: la mia casa era sempre stata piena di compagni/e ed amiche/i festosi. Riunioni su ogni cosa succedeva in giro per l'Italia ed il mondo; Il Cile di Allende, l'Argentina e i desaparecidos, gli Indio del Brasile, gli aborigeni dell'Australia e la Cina...quanto sembrava vicina la Cina allora...! Non come adesso che ce l'abbiamo sotto casa, nei nostri scantinati e nei nostri quartieri, ma così isolata e lontana da non saperli tra noi. A meno che non brucino come topi nei nostri capannoni. Ecco come è il mondo: negli anni n'80/90, quando l'onda del '68 si ritirava, i compagni indigeni, ri-scoprirono il loro "privato" e noi, le avanguardie di fabbrica, quelli che si erano fatti il mazzo nelle occupazioni di fabbriche e università, venivamo messi da parte. Allora fu che ognuno di noi si fece un pò di conti addosso ed il risultato era sconfortante: i giovani delle famiglie bene piemontesi avevano mangiato abbastanza nelle nostre case, noi mai nelle loro. Avevano preso la laurea con gli esami di gruppo e le promozioni politiche, potevano tornare ora ad ereditare la boìta del padre o le farmacie, gli studi d'avvocato o le fabbriche. A noi restava quella grande esperienza che ci aveva erudito e messi in contatto col mondo, ma ci aveva anche sfruttati per costruire carriere sfavillanti di medici laureati sì, ma ignoranti come capre, di una nuova generazione di docenti che non avevano mai sostenuto un vero esame e che dopo furono più tosti degli altri nel reprimere i giovani tentativi dei movimenti dei fax, di quelli degli anni duemila. Una nuova casta di professionisti e di politici che avevano ottenuto i loro titoli senza conoscere neppure la materia in cui erano stati laureati. Stiamo ancora pagando oggi per medici incompetenti formatisi in quegli anni e assorti a baroni negli ospedali. La classe politica odierna è ancora quella che arriva da quell'onda, con una risacca ed una persistenza interminabile:i Fini e i Gasparri, i D'Alema e i Fassino, gli infiniti leccaculo di Comunione e Liberazione e dell'Udc...pagheranno ancora i nostri figli e i nostri nipoti per quel nostro errore di non aver capito ed impedito che ciò accadesse allora. Quindi, torniamo a riflettere su quello che succede ancora oggi: il mondo si è aperto inmodo tale che non è possibile dire se ci si trova in un posto o in un altro: a Giaveno ad esempio, é difficile determinare se la comunità più grande che lo abita, sia quella indigena o immigrata e da dove. A vista, navigando sul pelo dell'acqua, sembrerebbe che la comunità Romena é ormai la più corposa e rappresentativa tra i cittadini stranieri, ma chi può dirlo con certezza se non sappiamo quanti, tra i non comunitari, abitano i nostri luoghi, senza che li conosciamo? Fatto sta che i Romeni non sono stranieri, sono come noi, uno dei Popoli di questa Europa, di cui quando ci fa comodo noi siamo tra i promotori e difensori, quando no, la viviamo come l'origine di tutti i nostri mali. Quindi cittadini europei che stanno in Europa a pieno titolo, non devono sentirsi stranieri nè devono lottare per conquistarsi diritti di appartenenza; ci nascono con quei diritti! giusto come noi e come dovrebbe essere per tutti. Circa dieci anni fa, all'avvento della coalizione che ancora oggi amministra il paese, fui il promotore di iniziative culturali durante le nostre feste, portando artisti moldavi e rumeni coni loro balli e canti tradizionali, sembrava tutto molto voluto dall'Amministrazione, ma al momento delle esibizioni, oltre il fugace saluto al gruppo, di un sindaco in fuga per "impegni precedenti", gli ospiti si ritrovavano in un qualche angolo abbandonato del paese, senza neppure una spina elettrica alla quale collegare i loro impianti e strumenti. Mai citati nelle locandine, mai pubblicizzati e (perché no?) ringraziati per le loro performance, mai fatto alcuno sforzo affinché la comunità locale interagisse con i nostri ospiti. Mai facendo quello che é "anche" il dovere di chi deve adoperarsi affinché i cittadini vecchi e nuovi di una comunità, si incontrino e interagissero tra loro, ma che é "anche" solo buona educazione di chi conosce un minimo di regole dell'ospitalità. Perciò mi sento in dovere di chiedere, a chi ha confinato un gruppo di ballerini e artisti romeni in piazza Sclopis, una piazza in forte pendenza e con pietre sdentate che possono procurare traumi e incidenti a che deve ballare, mentre il salotto buono del paese, in piano perfetto e coperto (che non è poco in dicembre) dove ogni manifestazione ha sempre trovato asilo, deve rimanere vuoto e non ospitare le colinde romene? Come mai, dopo dieci anni, ricapita che, ancora una volta a loro non è stata data la corrente? Ecco che torna a galla, quel maledetto vizio di portare gli invitati nel garage col gres, da dove si caccia fuori la macchina e si combina la tavolata, per ospitare (a modo vostro) gli ospiti ai quali non date accesso al salotto buono. Questo paese é di tutti coloro che lo abitano, a pari dignità. L'incapacità all'accoglienza di chi, ottusamente, resta di guardia al proprio castello diroccato ormai, non deve coinvolgere coloro che, hanno da  sempre aperto la porta del cuore al fratello che arriva da lontano.
Atteggiamenti simili sono ingiustificati per chiunque, figuriamoci da parte di chi non é il padrone del paese, semmai il suo servo.
la cultura e la conoscenza http://youtu.be/vaek8E37Q2Y

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