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La curva di domanda: dal capitalismo alla globalizzazione

Creato il 28 settembre 2011 da Elvio Ciccardini @articolando

La curva di domanda: dal capitalismo alla globalizzazioneNei ricordi degli studi di microeconomia, la legge della domanda e dell’offerta afferma che il prezzo di un bene è dato dall’intersezione tra la curva di domanda e quella di offerta. Il punto di incontro tra le due curve determina il prezzo di equilibrio, per cui né chi domanda né chi offre ha interesse a modificare il livello di prezzo.

Esistono poi, molti ragionamenti, rivolti a spiegare cosa accade nel caso di variazioni di diversi fattori. Ma questa parte di teoria economica la si conosce….

Quello che non ho mai trovato scritto, in nessun libro di microeconomia o di macroeconomia, è quale modello teorico potrebbe delinearsi nel caso in cui si andasse a qualificare l’utilizzo che si fa del bene domandato. Il perché è semplice, nessun modello economico prevede l’analisi di questo problema.

Eppure, a detta di chi scrive, la questione del “che cosa ci fanno gli acquirenti” con i beni presenti sul mercato non dovrebbe essere secondaria. Anzi essa dovrebbe essere parte integrante dei modelli economici. Ciò vale per i beni di consumo e per i beni strumentali, ma anche per quelli immateriali, cioè i servizi.

Infatti, se il prezzo di un bene è dato dal mero incontro tra domanda e offerta è altrettanto vero che una qualificazione dell’uso del bene domandato non dovrebbe essere una variabile trascurabile a livello teorico.

Culturalmente siamo portati a pensare che ogni bene abbia un’utilizzazione scontata e definita, o prevalente. Il cibo sarebbe domandato per nutrirsi. Il vestiario per essere indossato. Nella realtà non è così.

I beni sono oggetto di molteplici utilizzazioni, tutte legittime nella teoria economica, che non le differenzia, ma non tutte etiche dal punto di vista culturale e sociale. Sopratutto non tutte capaci di contribuire allo stesso modo al benessere sociale.

Così se il prezzo di equilibrio del bene pane è pari a “p”, ciò vuol dire che tutti nel mercato pagheranno “p” a prescindere dall’uso che ne faranno. Questo sicuramente viene spiegato.

Ma siamo sicuri che il pane destinato a sfamarsi e quello destinato allo spreco debbano avere lo stesso prezzo? Così come siamo sicuri che un’arma destinata alla difesa personale debba avere lo stesso prezzo di un’arma che sarà utilizzata per l’offesa da un criminale? O ancora che un terreno coltivato per alimentazione debba avere lo stesso prezzo di un terreno coltivato in altre colture non alimentari? O ancora che un coltello utilizzato per tagliare le portate di un pasto debba avere lo stesso prezzo di un coltello utilizzato per intimidire un malcapitato?

Andando per logica, fermo restando che ogni declinazione di utilizzo è suscettibile di interpretazioni soggettive, non sembrerebbe poi tanto corretto. Così come è vero che qualcuno potrebbe obiettare che è impossibile prevedere a priori un numero finito di possibili utilizzazioni di un bene, tanto che possano essere messe a sistema per diventare contributo scientifico in un modello teorico.

Tuttavia, è anche vero che in un sistema economico globale in cui la scarsità delle risorse diventa un problema del presente e non un’idea fantasiosa, il sistema dovrebbe inglobare il “valore della scelta di consumo” o il “valore della motivazione di acquisto”.

In un mercato mondiale, in cui le risorse naturali sono sempre più scarse e con una crescente popolazione mondiale è plausibile ipotizzare che, data la tecnologia, si possa arrivare ad una crescita della domanda di beni alimentari che vada a determinare un aumento del prezzo dei beni agricoli. Potrebbe essere plausibile che tali beni agricoli abbiano dei prezzi di equilibrio che escludano parti consistenti della popolazione mondiale. In ogni caso, secondo la teoria economica, in assenza di un intervento pubblico, il prezzo di un ettaro di terreno sarebbe lo stesso, sia che esso sia destinato all’agricoltura, sia che esso sia destinato alla coltivazione di rose. Anzi, se la coltivazione di rose permette maggiori rendimenti, la loro coltivazione potrebbe essere preferibile, per i produttori, a quella di beni alimentari.

Eppure, secondo logica, la priorità sociale dovrebbe essere quella di produrre cibo per tutti, almeno il più possibile. Ecco che la qualificazione della domanda, cioè dell’uso che si fa del bene, diventa rilevante.

Un modello economico che sia in grado di poter definire, per un unico bene, una funzione di domanda che tenga conto dell’utilizzo fatto del bene stesso per definire differenti livelli di prezzo, in relazione di quest’ultimo, potrebbe rendere l’economia più etica anche nei suoi modelli teorici.

Almeno credo… ma sono solo appunti di riflessioni….



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