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La dea di Sardara. 1a parte

Creato il 29 luglio 2011 da Zfrantziscu
di Mikkelj Tzoroddu
Entriamo subito nel vivo, col dire che il bucranio simboleggia la capacità inseminatrice dell’uomo. In effetti, il bucranio, nel suo significato apparente è la rappresentazione della testa del bue con i suoi principali attributi, ovvero del toro. Ma, il toro è animale riproduttivo per eccellenza, al quale si ricorre per la fondamentale, quotidiana necessità del latte per l’alimentazione. Anche la testa dell’ariete ricorre, in quel novero di espedienti simbolici, con la stessa frequenza, perché anch’esso è mezzo indispensabile per la quotidiana razione di latte per l’alimentazione. Pertanto, senza l’assolutamente necessario contributo di questi due preziosi animali, tutte le umanità di tutte le epoche, forse, non sarebbero sopravvissute o almeno, non interamente. La stessa umanità dei nostri giorni non ne può fare a meno. Quindi l’ariete ed il toro rappresentano, soprattutto, forza soprannaturale di generazione e alimentazione; soltanto poi e per gli effetti indispensabili di quella alimentazione “divina”, essi risultano essere patrocinatori della vita. Ma, uno degli attributi principali della Dea e della donna (forse fin dagli inizi del Paleolitico superiore) non è proprio quello di madre nutrice, rappresentata con i seni traboccanti del prezioso nutrimento?. E, quale migliore patronato può essere ad esse accostato, se non il potentissimo toro (od ariete), per esaltare in massimo grado quella loro funzione? Pur tuttavia, il bucranio, cioè la testa del toro, è proprio il simbolo che rappresenta la funzione fecondatrice dell’uomo, certo idealmente esaltata dall’accostamento con la bestia.Tale segno, è l’accorgimento artistico che ricorda l’unione della donna (sovente idealizzata come Dea) con il suo sodale uomo, che dà la spinta alla formidabile sequenza dei fenomeni naturali che portano alla creazione di una umana comunità: deposizione del seme nell’utero, gestazione, parto, allattamento, crescita. L’artista che si esibì in corrispondenza del pozzo e della tomba, prese a prestito il profondo significato del simbolo bucranio, quello potentemente generativo, per mettere in evidenza la necessaria comunione fra l’uomo e l’utero-pozzo o l’utero-tomba. E non aveva più chiaro modo per farlo: nella gloriosa esaltazione della proprietà generatrice della Dea, ma anche della donna, l’unico simbolo, all’altezza del compito, era quello che rappresentava la macchina inseminatrice per eccellenza, il toro (o l’ariete). In alcuni casi la scelta cadeva sull’ariete, ma più comunemente sul toro, forse per un suo più antico addomesticamento. Aggiungiamo che può sembrare naturale credere ad uno strettissimo legame segnico fra bucranio e utero, mentre, ad un più attento esame, la “identificazione” simbologica (messa a punto nel passato) fra i due elementi figurativi, ci lascia certo insoddisfatti. Siamo però consapevoli (come espresso altrove) che una ardita rappresentazione del segno bucranio, come talvolta si legge sull’oggetto definito “menhir”, racchiuda in sé l’utero della dea-donna, con la vita che dal suo interno si fa strada verso la luce, oltrepassando l’apertura della vulva.

La dea di Sardara. 1a parte

Sin.: la dea di Mas Caplier e  dx. la dea di Sardara

 Nell’arco dei millenni, la raffigurazione del bucranio, ha preso la mano degli artisti e quelli antico neolitici lo hanno fatto nascere in contesti nei quali quella tradita grafia si integrava alla perfezione. Esempio caratteristico, di tale impegno trascendente è, come detto, l’interno di tombe e pozzi, in cui quei simboli avevano il compito sovrannaturale di favorire la rigenerazione nell’umidità del limo e nella intimità dell’acqua. Ma, i segni generativi, entrarono a far parte delle compiute espressioni degli artisti del sacro, nel momento in cui essi sentirono l’esigenza di esprimere la loro arte rappresentando la stessa Dea che sovrintendeva alla generazione dell’essere e alla rinascita della natura. Riguardo al primo dei raffronti che ci sentiamo di intessere, proponiamo le  due figure che appaiono, secondo l’ottica messa a punto testé, straordinariamente identiche (continua).           

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