Si è assistito ad un vero e proprio carosello di opinioni e di interpretazioni sulla retroattività o meno della legge 6 novembre 2012, n. 190, meglio nota come “Legge - Severino” o come “Legge anti-corruzione”, tese a dimostrare la propria fondatezza più per un tornaconto “ideologico” o di parte, che per una manifestazione del pensierolibera e incondizionata.
A favore della irretroattività della legge viene invocato il principio costituzionale secondo cui “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”. (Art. 25, c. 2). In sostanza si associa la decadenza (ritenuta sanzione accessoria) al reato da cui trarrebbe origine, come intima connessione temporale in ossequio all'altro principio (giurisprudenziale) del “tempus regit actum”.
I sostenitori della tesi avversa ritengono invece che la legge Severino sia pienamente conforme al dettato costituzionale, posto che il decreto legislativo attuativo (n. 235 del 31 dicembre 2012) fa riferimento a condanne definitive intervenute successivamente alla sua entrata in vigore. Per costoro la questione della irretroattività è quindi un “falso” problema e appartiene piuttosto al novero delle disquisizioni meramente scolastiche.
Personalmente propendo per tale ultima interpretazione e ciò indipendentemente da qualsiasi valutazione sulla giustezza o meno della condanna inflitta al cavaliere “smascherato”.
La decadenza dalle cariche elettive ex d.lgs. 235/2012 non è infatti configurabile quale sanzione accessoria al reato (la cui competenza, peraltro, sarebbe del solo giudice come avviene per l’interdizione dai pubblici uffici) ma è l’effetto di una condanna definitivamente accertata a tutela dell’integrità dell’assemblea (in questo caso il Senato della Repubblica) secondo le finalità morali sottese al provvedimento legislativo. A fortiori, ragionando diversamente e visti i tempi elefantiaci della giustizia italiana, dovremmo aspettare almeno un decennio affinché la legge Severino sia effettivamente applicata.
Credo comunque che l’aspetto più rilevante non è tanto la decadenza “berlusconiana”, quanto piuttosto l’incapacità dello Stato italiano di garantire se stesso e i propri cittadini attraverso regole certe e ragionevolmente accettate come in qualsiasi Paese che voglia definirsi “civile”.
In questo vespaio di dubbi, interpretazioni e soluzioni di comodo si annidano pensieri che fanno dell’astrattezza un’arma letale per confondere e destabilizzare le coscienze.
E sono pensieri che si insinuano nelle menti più facilmente accessibili, fino a divenire fluttuanti, sfuggevoli, decadenti…
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