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La democrazia alle prese con le “cose turche”

Creato il 09 giugno 2015 da Albertocapece

Turchia-elezioni-imprevedibili_mainstory3_50Il segnale di stop che si è acceso di fronte a Erdogan e al suo tentativo autoritario – dittatoriale ci può insegnare qualcosa attorno alla democrazia, alle dinamiche di voto e ai sistemi elettorali. Suggerimenti che possono venire utili anche a noi, qui in occidente, dove c’è un grande Erdogan impersonale che tenta di vincere la stessa partita, grazie ai suoi prestanome.

Intanto, al contrario di quanto il lettore possa immaginare leggendo il giornale o di quanto, in qualche caso purtroppo legge – il piccolo Ataturk di Ankara non è stato sconfitto, non ha perso molti consensi, semplicemente è il dissenso che è riuscito ad esprimersi attraverso le maglie di un sistema di voto distorto: l’Akp, il partito dell’uomo che vuole farsi sultano, ha infatti preso quasi il 41%, contro il 46% delle precedenti elezioni e il 38% di quelle ancora prima che diedero inizio all’era Erdogan. Il fatto è che essendo lo sbarramento elettorale attestato su un assurdo 10% ( che finisce per avere anche l’effetto indiretto di premio di maggioranza) molte forze o devono necessariamente confluire nei partiti per così dire si sistema perdendo mordente o sono escluse dal Parlamento. Questo ci mostra il ruolo anti rappresentativo  di sbarramenti e/o premi di maggioranza eccessivi che comportano un salto dalla governabilità in nome della quale sono venduti ai cittadini verso l’autoritarismo.

Il partito curdo Hdp che ha raccolto l’eredità di precedenti formazioni mai andate oltre il  9% è riuscito a coagulare attorno a sé anche la protesta di una piccola parte della società turca superando il 12%, sfondando lo sbarramento e dunque aggiudicandosi 80 parlamentari che prima finivano nelle saccocce di Erdogan: così il sultano in pectore dalla maggioranza assoluta si ritrova in una situazione nella quale vi potrebbe teoricamente essere anche un governo delle opposizioni. Dunque in questi sistemi elettorali anomali ( tra i quali possiamo tranquillamente annoverare l’Italicum) lo spostamento di modestissime percentuali può cambiare radicalmente la situazione testimoniando del loro valore scarsamente rappresentativo della società.

La seconda cosa che si nota è che questo giro di boa nelle vicende turche non è venuto da un partito di sistema, cioè da un partito che in qualche modo partecipa del potere ed è continuamente sottoposto a tentazioni e azioni consociative, ma da una formazione di tipo periferico territoriale, se così si può dire, anche se in questo caso a base etnico linguistica.  E’ del tutto evidente che se il 5% perso dal partito di Erdogan si fosse tutto spostato sulla formazione simil socialdemocratica (un piccolo travaso è comunque avvenuto) non sarebbe cambiato un bel niente.  E’ solo il peso di una formazione del tutto al di fuori del sistema di potere e delle sue logiche e anzi avverso ad esse che cambia radicalmente la situazione ancorché con una percentuale modesta. Dimostrando che non è tanto il numero in assoluto ciò che conta quanto la distanza dall’assetto generale e la capacità reale di essere alternativo alla narrazione conformista.

Ci sarebbe da meditare, se ce ne fosse ancora il tempo e la voglia.


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