“ciò che è comune ha sempre avuto
poco valore”
F. W. Nietzsche
Non se ne può davvero più! “I politici
hanno rovinato l’Italia e anche la mia storia coniugale”, “sono strapagati,
viziati e privilegiati, collusi e corrotti”, grumi ed incrostazioni che si sono
aggrappate sempre più al potere creando consorterie difficilmente estirpabili
(eppure, fino a qualche tempo fa, quello stesso cittadino incollerito che oggi
vomita bile, non senza ragioni peraltro, sarebbe probabilmente stato in prima
fila a stendere il tappeto rosso per gli onorevoli della DC o del PCI, quando, per
ottenere consensi ed ingrassare nuove clientele, facevano qualche scampagnata
fuori palazzo. Chissà se l’odierna malpolitica risulterebbe digeribile dalla
contemporanea plebs frumentaria se
questa ottenesse, come spesso accadeva all’epoca, qualcosa in cambio… dal panem et circenses di Giovenale all’i-pad
e circo-nvenzione del Governo trendy… il passo è breve).
Insomma, sui social si trovano insulti
per ogni palato, eppure si ha la crescente sensazione che il problema del
“politico a cui non importa nulla della res
pubblica ma è solo in cerca di un vitalizio”, non sia esclusivamente del
malgoverno e della politica in generale.
Ogni politica, per quanto possano
abbassarsi i livelli democratici, deve infatti rendere conto ai cittadini
chiedendo loro il consenso. Ma oggi ciò che dovrebbe rispondere ad un
disinteressato spirito di servizio viene invece fatto esclusivamente per
risultare servizievole, a buon mercato, vendibile ai bisogni di quegli stessi
biliosi cittadini.
La politica democratica contemporanea
diventata così solo un posticcio esercizio di marketing, di pubblicità, di sondaggi più o meno
compiacenti, di lacchè e di galoppini, dalla carta stampata ai media di regime.
C’è da chiedersi allora, dacché questa politica si è trasvalutata in
espressione mercantile che manifesta un’offerta proporzionale alle esigenze di
una domanda sempre meno esigente, da dove arrivino le genialate delle ruspe
salviniane o le incontinenti urgenze sulle riforme “sempre e comunque” urlate
dai “riformisti leopoldeschi” di ogni colore (sulla volubilità e la pochezza
delle masse democratiche vale ancora oggi l’accusa mossa da un anonimo ateniese
ai tempi di Pericle: “dovunque sulla
terra i migliori sono nemici della democrazia”).
Forse che alcune proposte non provengano
esclusivamente dai mâitre à pénser
di qualche “bottega” di partito? Forse che quei partiti stanno solo intercettando
un costume, una morale, un’opinione, un bisogno della società civile, per farlo
fruttare trasformandolo esclusivamente in un tornaconto elettorale? D’altronde,
in un mondo abitato da consumatori, anche l’elettore si adegua nobilitandosi a
cliente!
Annunciare, ad esempio, l’accoglienza di
qualsiasi migrante, non sarebbe una scelta scellerata per ragioni contingenti,
sociali ed economiche, lo sarebbe invece perché risulterebbe incomprensibile
agli occhi dell’opinione pubblica (la Kyenge è impresentabile non tanto perché
ha detto palesemente delle fesserie, ma perché ogni volta che compare in video
fa perdere voti al “vincente” PD).
Spiace quindi per tutti gl’indignati dei
social network e dei bar sport “di provincia”, ma se abbiamo politici
impresentabili è anche perché la maggioranza dei cittadini crede sia meno
impegnativo cazzeggiare sulle tastiere anziché far funzionare il buon senso per
compiere davvero qualche scelta individuale. Se è vero quello che diceva
Carmelo Bene, ovvero che “nelle
aristocrazie il principe non si fa eleggere, è lui che elegge il suo popolo. In
democrazia il popolo è bastonato su mandato del popolo. È la pratica certosina
dell’autoinganno”, allora potremmo forse sospettare che il cittadino
democratico sia in preda ad una sorta di sindrome di Stendhal. Sbraita, si
contorce, protesta sottovoce (tanto per non indispettire il potente di successo),
ma alla fine sa che ha sempre bisogno proprio del potere per continuare
bellamente ad esercitare la compiacente moraledegli schiavi.
A dimostrazione di questo, la dice lunga cosa sia diventata la scuola
oggi - e non solo dopo “la buona scuola” del Governo Renzi e le sparate dell’”agrimensore”
Poletti -. Essa non deve più formare cittadini critici e consapevoli,
bensì, col beneplacito di quegli stessi “cittadini” autoretrocessisi volentieri
al rango di strumenti di potere, deve creare professionalità, nuovi lavoratori
disciplinati e proni ai desiderata del potere e del mercato del lavoro (si
passa dal formativo Bildung al sapere
che dev’essere necessariamente mercificato, prezzato e poi venduto!).
Ecco perché i cittadini, se hanno
qualche ragione a prendersela coi politicastri di turno, hanno anche torto. Ma
meglio proseguire nel divertissement
pascaliano, continuando a frequentare la “democrazia” dei social per non
pensarci troppo. In fondo è così che deve funzionare la belluina democrazia dei
fancazzisti: “se siamo in tanti a condividere la stessa idea dev’essere in
fondo giusta”. Abbasso i politici quindi, evviva i cittadini! Meglio se privi
di qualsiasi principio etico e senso della cosa pubblica…