foto:flickr
I venti di guerra che, minacciosi soffiano dalla Libia, costituiscono l’ ennesimo tassello di una questione ben definita: quale sia la forma di governo migliore per un popolo. I ribelli libici, in buona sostanza, hanno sovvertito il sistema politico del rais Gheddafi non lontano dalle peggiori autocrazie orientali. Il sommovimento popolare ha squarciato l’ establishment politico, religioso, economico istituito nei decenni dal colonnello libico. In questi giorni saremo tutti spettatori di una situazione in continuo divenire i cui sviluppi sono tutt’ altro che scontati. In particolare, per la crescente litigiosità dei paesi dell’ Unione europea. La questione di cui sopra è legata proprio a questi sviluppi. Una volta sconfitto Gheddafi quale sarà il futuro della Libia? Un processo di lenta democratizzazione? Un governo di transizione a consenso popolare? Appare evidente che il presente della Libia e, in particolare, il suo futuro passano dalla forma di governo che si deciderà di attuare. L’ Europa, sotto questo punto di vista, non sembra nutrire dubbi: il regime democratico è l’ unica strada da intraprendere per assicurare, in seguito, stabilità e prospettiva al paese nordafricano. Ma siamo, intendo noi europei, così sicuri che la democrazia sia il migliore dei governi possibili al punto da essere “esportato” e “condiviso” da paesi che mai l’ hanno conosciuta, elaborata, prodotta? Eppure, allo stato attuale della geopolitica mondiale, la “democrazia esportata” ha fallito miseramente. Afghanistan, Iraq, paesi caraibici, Argentina e, probabilmente, la Libia stessa. Insomma la democrazia occidentale perde colpi, divenendo assolutamente dannosa, quando si trova ad interagire in determinati territori in cui essa è chiamata ad abbreviare, sintetizzare con brutalità la complessa parabola storica che conduce un popolo alla propria autodeterminazione politica ed istituzionale. La democrazia occidentale fallisce nei paesi stranieri non solo per incompatibilità geo-politica. C’ è dell’ altro. Essa si dimostra debole nella stessa misura in cui lo è in Europa. I paesi europei, infatti, vivono tutti, con entità diversa, una crisi profonda dei regimi democratici. Il paradosso è che questi regimi non hanno quello che in Libia, per esempio, non manca in queste ore di rivolte: la speranza di un reale cambiamento. Le società europee sono tutte in prede ad un’ annoiata opulenza che si traduce in abbandono e pigrizia di quei valori fondanti per ogni democrazia: libertà, uguaglianza, sovranità popolare. Si tratta, quindi, di società individualistiche, egoistiche, fini a se stesse. Queste società che in questo preciso momento storico devono fronteggiare il pesante problema dell’ affaire Libia. Come può l’ Occidente intervenire in modo proficuo nella questione se, all’ interno del suo mondo, vive una crisi valoriale profonda, un lassismo istituzionale e morale senza precedenti? E,inoltre, come può l’ Europa pretendere di esportare democrazia quando questa è malata alle radici del vecchio continente? Chiudo con una battuta carpita a Gustav Radbruch, ministro della Giustizia della Repubblica di Weimar: “ Il pericolo per una democrazia può derivare non tanto dalla forza dei suoi oppositori quanto dalla debolezza dei suoi sostenitori”. L’ occidente è immune da questo pericolo?