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Può la depressione avere come causa una infiammazione intestinale?
Difficile da credere, eppure le evidenze ci sono e sono tante.
Ansia, depressione, stanchezza, cefalea, incapacità a concentrarsi come addirittura patologie ben più gravi e importanti quali epilessia, Parkinson, Alzheimer ed in generale molte neuropatologie e malattie autoimmuni, sclerosi multipla compresa, possono avere tutte un elemento in comune: l’intestino.
A dirlo è uno tra i più importanti ricercatori in Italia su questo tema, il dr. Paolo Mainardi, ospite e relatore a Vicenza in occasione del prossimo seminario Be4eat con il dr. Colin Campbell il 26-27 ottobre, in questo breve stralcio di una intervista che verrà pubblicata a breve nel libro sulla “Prevenzione Primaria” a cura dell’associazione ANPPN.
Neurochimico di fama, impiegato presso il Centro Epilessia dell’Università di Genova, Mainardi è il primo ricercatore al mondo ad aver identificato ed isolato una siero proteina, l’alfa-lattoalbumina, capace di ottenere significativi risultati in diverse patologie neurologiche. Risultati che oggi hanno permesso a questa proteina di entrare nei programmi di screening nuovi farmaci dell’NIH (USA) e di accendere un elevato interesse nel mondo scientifico.
“Patologie come Parkinson, Alzheimer, cefalee, depressione, epilessia, che riducono notevolmente la qualità della vita – racconta il neurochimico- hanno in comune una causa intestinale, così come diverse patologie autoimmuni. Lo studio dell’asse intestino-cervello consente un nuovo approccio terapeutico mirato a curare il primoper migliorare la funzionalità del secondo e do altri organi ad esso collegati.”
Com’è possibile tutto questo? Qual’è il ruolo dell’intestino nella malattia neurologica come ad esempio la depressione o l’epilessia?
“È sorprendente come l’intestino fosse considerato l’organo responsabile di molte patologie neurologiche sin dai tempi della Bibbia, quando anche le crisi epilettiche venivano curate con il digiuno, da cui poi ebbe origine la dieta chetogenica, ricca di grassi e povera di carboidrati, ampiamente usata nell’epilessia fino agli anni ’30 e mai scomparsa: ancora nel 2008 Elen Cross riporta uno studio clinico che dimostra la superiorità della dieta chetogenica rispetto ai farmaci e la LICE ha recentemente costituito un gruppo di studio nazionale sulle diete nell’epilessia di cui faccio parte anch’io. Del resto una dipendenza “nutrizionale” del cervello dall’intestino è facilmente dimostrabile: alcuni importanti neurotrasmettitori, vale a dire quelle molecole che sono indispensabili al cervello per il suo funzionamento, sono sintetizzati a partire da amminoacidi essenziali derivabili, come noto, esclusivamente dalla dieta.. Da qui si capisce come la capacità dell’intestino di assorbirli da ciò che si mangiaè fondamentale per il corretto funzionamento cerebrale. Un’alterazione della flora intestinale, la cosiddetta disbiosi intestinale, li distrugge prima dell’assorbimento riducendo così la possibilità di essere captati nel cervello e quindi di essere trasformarti in neurotrasmettitori. Ecco dunque che un malfunzionamento intestinale può tranquillamente modulare stati ansiogeni, depressivi, di irritabilità e dolorosità. Il mantenere il cervello in condizioni di scarse capacità riparative fa si che emergano sintomi diversi a seconda delle diverse vulnerabilità individuali . Dato che l’architettura cerebrale si trasmette geneticamente avremo una predisposizione genetica alle patologie, ad esempio genitori cefalgici avranno figli cefalgici, così i depressi o gli epilettici, ma questo solo se mettiamo in condizioni critiche il cervello. Se manteniamo elevata la capacità autoriparativa del cervello non avremo sintomi nonostante la predisposizione genetica. ”
Qual è dunque la dieta giusta per chi soffre di intestino infiammato o disturbi ad esso associabili?
“Il nostro obiettivo primario deve essere quello di non infiammare ulteriormente l’intestino, portandolo ad uno stato di cronicità. In questo senso una alimentazione a base di carboidrati ad alto indice glicemico, specie se raffinati, non aiuta. Così come il consumo spropositato di carne, soprattutto la rossa, e di zuccheri in genere. Questi alimenti agiscono come infiammatori potenti dell’intestino e devono essere accuratamente regolati e controllati. L’ideale invece è una dieta ad alto contenuto di frutta e verdure: sono alimenti ricchi di fibre digeribili che non vengono scisse dagli enzimi, fermentano direttamente nel colon e qui producono gli acidi grassi a catena corta che sono l’alimento principale della cellula intestinale. Utile in questo senso anche il consumo di grassi, ovviamente quelli buoni, come ad esempio l’olio extravergine di oliva nelle giuste quantità e nelle modalità più idonee. Tuttavia ritengo sia riduttivo dividere gli alimenti in carboidrati, proteine e grassi, dato che all’interno di ciascuna categoria possiamo identificare nutrienti nocivi, indifferenti o addirittura benefici al nostro intestino.”
Parliamo di bambini. E’ nell’età infantile infatti che si devono ricercare i “semi” di molte patologie associabili all’intestino…
“Al momento della nascita l’intestino è sterile e completamente permeabile. Il latte materno sostituisce il cordone ombelicale nella duplice funzione di proteggere e nutrire il neonato. Il distacco del neonato dalla mamma è graduale, via via che l’intestino impara a proteggerlo.E’ nel colostro materno, tuttavia, che tutto ha inizio: qui il 40% delle proteine è costituito da alfa-lattoalbumina, una siero proteina che ha il compito di “chiudere” la permeabilità intestinale e di attivare i processi difensivi e assorbitivi intestinali. Tutto ciò avviene controllando il pH. La capacità della flora batterica di attecchire dipende in modo molto sensibile dal pH. Variazioni dell’ordine di un decimo di unità provocano profondi cambiamenti della distribuzione dei ceppi della flora batterica. Mediante il controllo del pH, controllo svolto dall’alfa-lattoalbumina presente in elevata quantità nel colostro, l’intestino seleziona i ceppi a noi favorevoli, simbiotici, e “scarica” quelli disbiotici. Soprattutto con lo svezzamento affidiamo a questo esercito importanti funzioni difensive. Se qualcosa va storto in questo delicato processo di maturazione si possono acquisire delle vulnerabilità che possono poi manifestarsi anche in età adulta, ma sono pur sempre legate alla sfera infantile. Per questo direi che soprattutto nella gravidanza, e nei bambini è necessario riservare la dovuta attenzione al funzionamento intestinale, soprattutto quando si parla di vaccini.”
Anche lei è contrario ai vaccini?
“Sono fondamentalmente convinto che sia sbagliato schierarsi in maniera rigida da una parte piuttosto che da un’altra. Ciò di cui, tuttavia, sono seriamente convinto è che il vaccino, di per sé, non può essere da solo la causa delle tante patologie che ad esso si fanno risalire. Piuttosto il problema è da ricercarsi nell’intestino del bambino, ovvero l’organo che come ho detto prima è il più imputato nella costruzione delle difese del corpo, al momento della vaccinazione. Cosa accade ad un bambino con un intestino ancora immaturo durante e dopo una vaccinazione? E’ questo che dobbiamo chiederci. [...]”
L’intervista completa con il dr. Mainardi sarà pubblicata nel libro “La prevenzione primaria” redatto in collaborazione con l’Associazione ANPPN, l’Associazione per la prevenzione primaria naturale.
Ulteriori approfondimenti saranno oggetto dell’intervento del neurochimico ricercatore nel prossimo 26-27 ottobre a Vicenza con Be4eat 2013.
Nell’attesa potete visitare il suo sito istituzionale: www.gutbrainaxis.org o leggere il suo nuovo libro “Alla ricerca dell’una(medicina)”.