Un tizio stamattina mi domanda come faccio a decidere chi seguire e chi no, e come faccio a sapere se quella/o che decido di non follouare non è magari una persona magnifica. Vado sui profili, sui blog, scorro TL, leggo, evito di farmi i cazzi miei.
Non si può seguire chiunque, è l’esperienza degli altri a dirlo. Ma anche la propria, perché dietro un’apparente intelligenza si può nascondere il grande fesso. Ho sprecato tuit con persone che poi, una volta che la loro tuitstar mi ha defollouta -perché ha il ciclo oppure ho troppi rituit- mi hanno defollouato pure loro. Ma sono “pericoli” che poi si evitano, soprattutto quando s’impara a misurare la personalità di ognuno dalla lunghezza della lingua.
Non è così giusto follouare chiunque. Perché comunque una battuta infelice rimane, così come il giudizio affrettato. Perché quando ti accorgi che il tizio/a in questione è imbecille patentato dispiace, soprattutto quando ti viene a domandare il perché del defollow, e allora 140 caratteri non bastano mai. Le/gli dici che l’hai fatto perché non ti stellina né ti rituitta anche se lo fanno in tanti? Oppure perché dalle 18.00 alle 18.30 spara un imbarazzante numero di luoghi comuni che non se ne può più perché basta la televisione?
Un follouing sbagliato può creare una serie di “qui pro quo” che nemmeno s’immaginano. E liti, liti domenicali che non so perché esplodono sempre dopo pranzo, quando i cannelloni al sugo di carne della cognata si sono ben accomodati sul mio stomaco da vegetariana.
E poi ci sono quelli che si svegliano intellettuali. Che scrivono DM a raffica dove raccontano il proprio punto di vista sull’amore, come se io, che non sono nessuno agli occhi di un mondo che vive esclusivamente di talk show televisivi, fossi in credito di storie, come se le mie, non mi bastassero.
Ci sono quelli che m’insultano dopo che li ho defollouati. Maschi, soprattutto, umiliati dai miei personaggi che sadicamente lascio andar su e giù di mano in camere d’albergo, ignorati dalle mie super donne afflitte dalla debolezza dell’interlocutore, quasi sempre ubriacone e impotente, pieno di nevrosi.
Ci sono quelli che correggono il refuso piccolo piccolo e in pubblico. Loro, che in sovrappeso di frustrazione mi guardano da una foto ritoccata e sputano sentenze da dietro un nickname. Ma fatti vedere, imbecille, mettici la faccia dietro il giudizio. Se dai dell’arrogante a me che scrivo quasi sempre in prima persona plurale, almeno mostrami cosa hai fatto tu. Ma forse siamo in un mondo dove l’essere vale sempre meno rispetto all’apparire.
E poi ci sono i detestabili ottimisti. Quelli che non fanno che scrivere che la vita è bella, che il cielo è sempre più blu e che basta un poco di zucchero e la pillola va giù. Ecco, li chiamerei gli imbonitori di felicità, spacciatori di luoghi comuni e drogati di frasi fatte.
E gli opportunisti. Come lo studente che fa avance solo perché ha bisogno di un appoggio a Roma e di una scopata con una tizia esperta: bravo, complimenti, nella vita diventerai sicuramente qualcuno ma prima domandami se sono sposata, se sono libera e se ne ho voglia.
E i pettegoli. Quelli che vogliono sapere chi è com’è quella tuitstar che conosco. E mi viene da ridere perché per me le tuitstar non esistono.
Non dovete offendervi voi neofiti di TWITTER se non vi follouo, dovete pensare a chi volete seguire, e basta. Il follow arriverà se sarete voi stessi, se non vi metterete troppo d’impegno a cercare frasi a effetto. Perché twitter è anche una grossa perdita di tempo. E di gente che pretende di avere l’ultima parola anche quando ha torto, ce n’è fin troppa, come chi sostiene che il Cinema non è una forma d’arte, buttando così al cesso intellettuali, attori, registi e sceneggiatori che hanno fatto la nostra storia e che raccontano il mondo.