Anno: 2013
Durata: 61′
Genere: Documentario
Nazionalità: Germania
Regia: Tania Masi e Alessandro Cassigoli
Max non ha per niente l’aspetto di un italiano. Un bel problema per lui, che a Berlino sogna di fare l’attore. Perché le agenzie di casting, quando cercano un italiano, vogliono un tipo mediterraneo e non uno che sembra un russo o un polacco.
Anche Max, come migliaia di giovani e meno giovani partiti dall’Italia negli ultimi anni, è arrivato a Berlino sull’onda della propaganda che imperversa nella maggior parte dei media italiani che dipingono la capitale tedesca come un luogo in cui tutto è facile. Iniziare un business, vivere da artista, strafarsi di qualunque droga, comprare case o crescere figli? Kein Problem! Ma nonostante gli affitti bassi, il costo della vita accettabile e il tanto decantato stato sociale, gli italiani che si sono stabiliti a Berlino non conducono tutti esattamente una “dolce vita”. E tuttavia una volta arrivati è difficile abbandonare questa città. È su questa ambivalenza che riflette “La Deutsche Vita”, il documentario di Tania Masi e Alessandro Cassigoli, attraverso le storie, o meglio, i frammenti di storie dei diversi protagonisti che hanno lasciato l’Italia in momenti e per motivi diversi e si sono stabiliti a Berlino.
Va detto subito che chi si aspetta un’inchiesta sulla nuova immigrazione o un intervento nella polemica di turno su “come passano veramente il loro tempo gli italiani all’estero” rimarrà deluso. Sono i registi stessi a dichiarare fin dall´inizio che questo progetto per loro è qualcosa di diverso. All’origine del film ci sarebbe infatti la ricerca di una sorta di terapia per affrontare quella che chiamano “crisi del settimo anno” ovvero il momento in cui ti rendi conto di essere un immigrato. I sintomi sono nostalgia, perdita dell’orientamento e un malessere generale. Partendo da questa constatazione i due registi fiorentini si mettono alla ricerca di persone come loro. Che vita conducono questi “italiani emigrati”, per i quali i sociologi hanno già inventato definizioni come “nuovi mobili” o euromovers, che cosa hanno trovato in questa città loro e chi ormai vive qui da decenni, come si manifesta la nostalgia e come la affrontano?
Le storie e gli aneddoti raccontati non rispondono a nessuna di queste domande in modo categorico. Gli intervistati riportano piuttosto impressioni soggettive sul loro modo di vivere Berlino, una scelta all’insegna dell’autenticità anche se a tratti scivola nell’intimismo.
La sorpresa positiva è che il film rinuncia quasi del tutto agli stereotipi del mito berlinese tanto cari alla propaganda nostrana. Masi e Cassigoli non ci propinano quindi la solita carrellata di clichés sulla Berlino delle imprese start-up, sui tecno-parties di tre giorni al Berghain, o sulla decantata, e anche un po’ fantasticata, subkultur berlinese. I due registi evitano anche di formulare tesi sulla natura dei famosi “creativi”, o “fancazzisti” come li definisce qualcuno, animando polemiche infinite quanto inutili su blogs e social networks. Raccontano invece storie di ordinaria normalità.
Max vive contando ogni centesimo a Schöneberg con una ex femminista ormai avanti negli anni che prova a spiegargli come funzionano le donne tedesche, Gino abita a Berlino da 30 anni, anche se quando è partito dall´Italia voleva andare a Parigi, mentre Ruth ha fatto del trend berlinese un business e ora vende case a chi piuttosto che restare a vivere a casa dei genitori in Italia se ne fa comprare direttamente una. L’unico che corrisponde un po’ alla figura del nuovo creativo è Mauro, che gira filmini in Super 8 e vende bruschette al mercato turco di Kreuzberg per guadagnare due soldi. “Se non sei un artista qui non sei nessuno”, questo Mauro l’ha capito subito, ma allo stesso tempo sa che “di quella roba lì non si mangia”. Non esattamente una grande verità, ma nemmeno una conclusione troppo banale in questa città, un immenso parco giochi in cui l’infantilismo è diventato lifestyle.
Nonostante il mito della città easy-going, in cui ognuno può fare e essere e diventare quello che vuole, anche la bohème metropolitana berlinese ha le sue regole. Restare tra italiani, ad esempio, non è cool, bisogna mischiarsi per essere presi sul serio. E il primo passo è la ricerca di una stanza. Ma le interviste sono un tormento, lo sa bene Mauro: i potenziali coinquilini vogliono sapere che tipo di persona sei, se sei socievole o riservato, se ti piacciono i parties, se prendi droghe…
Ed ecco che arriviamo al loro, ai tedeschi. Un rapporto, quello tra “noi” e “loro”, decisamente non facile. E qui registi avrebbero potuto provocare un po’ i loro protagonisti, i cui giudizi piuttosto superficiali sono legittimati almeno dal fatto di essere attinti dalla vita vera. Chi vive qui da anni, e un tedesco o una tedesca se li è sposati e ci ha fatto figli racconta così che loro, a differenza di noi controllano troppo le emozioni, devono elaborare ogni conflitto, sono troppo permalosi… La sentenza è categorica: “Sono pesanti”. “Per altre cose però…” e si passa alle qualità teutoniche tanto apprezzate in patria: affidabilità, puntualità, responsabilità ecc. Insomma tutto quello che noi non siamo.
Masi e Cassigoli affrontano con leggerezza il tema clichés e le attribuzioni identitarie che esistono da entrambe le parti mettendosi in gioco in modo autoironico, senza cedere allo snobismo tipico di chi la sa lunga e si sente “altro” da quella che considera una massa di italioti beceri e ingenui che arrivano a Berlino solo perché fa trendy . È probabile che il film non piacerà a questa categoria di persone, perché non vi troveranno nessuna conferma. Altrettanto probabile è invece che molti altri Italo-Berliner si riconosceranno in qualche scena, qualche battuta, qualche riflessione, e lo faranno sorridendo di se stessi. “La Deutsche Vita”, infine, non è solo un film per italiani. È un film su Berlino, una città come una storia d’amore bella e complicata, che chiunque abbia deciso di viverci conosce.
Federica Matteoni