Scrivo questo post con una settimana di ritardo: me ne scuso, ma non credo sia troppo tardi per parlarne. Come annunciato sul blog, ho partecipato nei giorni scorsi al 27° meeting di Abant: il periodico incontro per parlare in libertà dei temi decisivi per il futuro della Turchia, che per la prima volta quest’anno ha visto la partecipazione soprattutto di studiosi, intellettuali, diplomatici e giornalisti stranieri che vivono in Turchia (i giornalisti erano però pochissimi e io ovviamente l’unico italiano: ma c’erano due compatrioti che insegnano in università turche); in effetti, il titolo annunciato di “ospiti della Turchia che parlano di Turchia” non mi aveva per niente convinto, io non mi sento un ospite ma già un italo-istanbuliota: ed è infatti diventato qualche giorno prima – dopo una più accurata riflessione e magari qualche protesta, visto che tra i partecipanti “stranieri” c’erano cittadini turchi – “Different Perspectivs on Turkey” (sul processo di democratizzazione, sull’economia, sulla politica estera, sulla stampa, sui rapporti con l’Ue). I meeting di Abant vengono organizzati dalla Gazeteciler ve Yazarlar Vakfı (Fondazione dei giornalisti e scrittori, che fa capo al movimento d’ispirazione islamica di Fethullah Gülen), in un posto incantevole immerso nel verde e sulle sponde di un lago – quello di Abant per l’appunto, a 3 ore o poco più di bus a nord di Istanbul, dopo Izmit/Nicodemia – che a me ha ricordato la Svizzera, soprattutto quando tre mucche scampanellanti sono passate sotto la finestra della mia camera. Sinceramente, non ho molto apprezzato il format della sessione plenaria permanente: avrei preferito piccoli gruppi di discussione; ma l’occasione è stata estremamente utile per discutere in modo davvero aperto e senza tabù con persone particolarmente interessanti (di kemal-leghisti come dicevo neanche l’ombra, anche se una collega americana – animata da fastidiosissima spocchia – non ha potuto evitare i soliti mantra della propaganda anti-Akp), anche al di fuori degli orari di formale riunione – con alcuni spero di rimanere in contatto e di poter approfondire nel corso del tempo discussioni e scambi d’idee preliminari. Un’altra critica che mi sento di fare agli organizzatori è quella di aver riservato troppo poco tempo – e solo in extremis – alla discussione della dichiarazione finale: questo è il testo in inglese al quale ho contribuito con un paio di ben assestati ‘emendamenti Mancini’ (abrogativi, più che altro), sono pronto a rispondere a ogni vostra osservazione o curiosità.
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