Avrete sicuramente sentito parlare della dieta del gruppo sanguigno. Inventata dal naturopata Peter D’Adamo nel 1996, raggiunse un successo planetario grazie al libro “Eat right for your type” che ha venduto oltre 7 milioni di copie. Secondo la teoria sviluppata da D’Adamo e poi ripresa anche da alcuni nutrizionisti italiani, l’alimentazione di ciascun individuo dovrebbe essere personalizzata in relazione al gruppo sanguigno: il gruppo 0 è considerato il gruppo più antico, perciò i suoi possessori dovrebbero seguire una dieta ricca di proteine di origine animale, come quella dei nostri antenati cacciatori-raccoglitori; il gruppo A invece è associato alla nascita dell’agricoltura, ne consegue che queste persone dovrebbero seguire una dieta vegetariana; chi è del gruppo B dovrebbe mangiare più latticini; gli AB, invece, possono mangiare un po’ di tutto, con moderazione. Gli autori dello studio che commento in questo post hanno realizzato un grafico che descrive molto bene la proporzione dei diversi alimenti nei quattro casi.

Nei confronti di questa bizzarra teoria c’è sempre stato molto scetticismo. Comprensibile: sembra improbabile che il solo gruppo sanguigno di una persona possa influenzare in modo così forte le sue necessità nutrizionali. Gli studi di nutrigenetica ci insegnano che il DNA ha un peso in questo senso, ma le variazioni genetiche che contano sono numerose, interagiscono tra loro e soprattutto sono spesso a carico di enzimi del metabolismo. Nel caso del gruppo sanguigno, si tratta invece di due SNP (rs8176719 e rs8176746) all’interno di un unico gene, il gene ABO. E benché il gruppo sanguigno sia stato in passato associato a varie malattie, in letteratura non si trova quasi nulla riguardo al suo ipotetico effetto sulla risposta dell’organismo alla dieta seguita. D’altra parte, risulta difficile pensare che esistano solo quattro diete ottimali per tutta la popolazione, quando le componenti di una sana alimentazione sono moltissime e tutte potenzialmente legate a fattori genetici.

Questo studio boccia definitivamente una teoria fantasiosa, che in realtà era già stata messa in discussione da altri lavori precedenti. Ad esempio, a D’Adamo è stato contestato il fatto di aver considerato come gruppo sanguigno ancestrale il gruppo 0, quando invece analisi filogenetiche sembrano propendere per il gruppo A. Ovviamente, tra i miei lettori ci sarà anche qualcuno che dirà: “Eppure con me ha funzionato!”. La spiegazione è semplice: come dimostrato dal lavoro di El-Sohemy, gli effetti positivi di queste diete ci sono (soprattutto per quelle di tipo A e AB), ma non hanno niente a che vedere con il gruppo sanguigno di chi decide di seguirle.
Jingzhou Wang, Bibiana García-Bailo, Daiva E. Nielsen, & Ahmed El-Sohemy (2014). ABO Genotype, ‘Blood-Type’ Diet and Cardiometabolic Risk Factors PLoS ONE : 10.1371/journal.pone.0084749




