La dimensione antropologica della tecnosofia, di Walter Mendizza

Creato il 15 dicembre 2011 da Estropico

Presento un altro transumanistissimo articolo di Walter Mendizza (qui tutti i suoi articoli ripubblicati su Estropico).
In varie occasioni ci siamo occupati di antropologia, cioè dei comportamenti adottati dai gruppi umani per far fronte alle necessità materiali e spirituali, e di conseguenza delle concezioni della realtà elaborate per spiegare e giustificare la propria posizione e funzione nel mondo. Storicamente l’antropologia si è sviluppata su due principali tronconi: l’antropologia fisica e quella culturale. La prima studiava l’uomo nella realtà biologica mentre la seconda, l’antropologia culturale, analizzava l’uomo nelle sue manifestazioni culturali e sociali. Come dire struttura biologica o naturale da una parte e struttura spirituale o storica dall’altra.
Da un certo punto di vista questa distinzione faceva entrare l’antropologia fisica nella prospettiva delle scienze naturali mentre l’antropologia culturale si collocava tra le scienze storiche caratterizzate dalla ricostruzione di processi e di contesti piuttosto che di “leggi”. Una sorta di dualismo tra corpo e anima, di contrapposizione dialettica tra ente materiale biologico ed ente spirituale. Tale dualismo ha indubbiamente aiutato a capire meglio (come tutte le volte che si procede a classificare) ma alla lunga non ha fatto altro che mostrare una dogmatica quanto insanabile distanza disciplinare: qualunque elemento di azione che influisce nell’antropologia fisica è autonomo rispetto all’antropologia culturale, cioè non incide su di essa, e viceversa. Si tratta di una divisione dell’essere umano nelle classiche due realtà separate e autonome il cui effetto è il mancato riconoscimento del corpo da parte degli antropologi culturali nella storia della loro disciplina.
Al di là di questi aspetti, pur interessanti, c’è un altro aspetto che riguarda più da vicino l’associazione Tecnosophia che è di gran lunga più importante della contrapposizione tra le due scuole classiche che suddividevano l’antropologia in “fisica” e “culturale”. Mi riferisco al pensiero di Nietzsche che per primo ha ipotizzato l’esistenza di un momento storico nel quale l’uomo assumerà il dominio di tutta la Terra. Nietzsche è il primo grande pensatore che, in vista di una storia umana emergente nel mondo, pone una domanda che è la madre di tutte le domande: egli si chiede se l’uomo in quanto uomo nella sua natura sia pronto ad assumere la signoria del pianeta. Spingendo il suo ragionamento si chiedeva, qualora non fosse ancora pronto, cosa sarebbe dovuto succedere all’uomo per renderlo capace di sottomettere la Terra? E la risposta a questa domanda non può che essere una sola: per adempiere a questo compito immane ed ineluttabile, l’uomo deve essere portato oltre sé stesso.
Ecco, credo sia arrivato il momento di affrontare definitivamente la questione. La Terra non può più aspettare, dobbiamo rapidamente portarci oltre noi stessi, dobbiamo avere il coraggio di spiccare il volo. La fase storica che stiamo vivendo si caratterizza per le critiche esasperate alle crescenti disuguaglianze sociali di cui siamo consapevoli e, allo stato attuale delle cose, siamo sempre di più testimoni impotenti per cambiare queste disuguaglianze. Lo smantellamento del welfare nei paesi europei, l’affacciarsi al benessere di miliardi di lavoratori del terzo mondo, il nefasto quanto malaugurato traguardo appena raggiunto dei 7 miliardi di persone, pongono problemi non indifferenti al nostro martoriato pianeta. Mantenere il livello di benessere raggiunto in occidente e assicurare nel contempo acqua e cibo per il resto della popolazione, è una sfida che non possiamo affrontare così come siamo, ma dobbiamo avere il coraggio di abbracciare la c.d. “terza cultura”, quella che si fa promotrice di un umanesimo tecnologico e scientifico. Un umanesimo in transizione verso il postumano.
Purtroppo attualmente stiamo assistendo ad un violento attacco contro le tecnologie rispetto all’assetto attuale del mondo. Si tratta di un assalto proveniente da certi settori della sinistra e dell’ambientalismo neoluddista perché la tecnologia è vista come il momento culminante dell’ideologia capitalistica occidentale. All’insensato attacco segue una condanna alla crescente iniquità del nostro sistema economico. Ma condannare l’iniquità non serve a niente. Anzi, è anche deleterio perché si afferma la convinzione che le iniquità tra le classi sociali sia dovuto ad una mancanza di egualitarismo. Invece non è così, l’egualitarismo è una moneta falsa che rischia di far implodere l’umanità. C’è un solo modo per venir fuori da questo stato di cose, avere coscienza della propria comunità di destino. Se l’umanità fosse consapevole che la nostra comunità di destino è profondamente legata all’autodeterminazione della persona e in definitiva al suo potenziamento intellettuale e fisico, avremmo fatto un passo decisivo verso la risoluzione dei problemi che hanno attanagliato l’umanità negli ultimi due secoli.
Stiamo parlando del nostro destino postumano, dell’unico sbocco naturale possibile: la trasformazione postumana per via tecnologica. Naturalmente questa trasformazione non può essere imposta e sarà solo per chi la desidera. In tal modo l’umanità si avvierebbe verso due diversi destini: uno prettamente umanista che riguarderà milioni o miliardi di esseri umani che legittimamente decideranno di restare tali e l’altro, invece, postumanista, che riguarderà tutti coloro che desidereranno abbracciare l’evoluzione. Qui è necessario intendersi: non si tratta di prendere i più grandi geni dell’umanità e accoppiarli per costruire un nuovo tipo di uomo che abbia il massimo della potenza fisica, dell’intelligenza, della memoria, e qualsiasi altra caratteristica misurabile (velocità, longevità, resistenza alle malattie, ecc.). No. Così facendo creiamo ancora un membro della specie homo sapiens.
Quello di cui stiamo parlando è tutta un’altra cosa: mi riferisco al coraggio di sostituirci un braccio magari infortunato con un braccio bionico oppure gli occhi con occhi bionici quando si incomincia a veder male. Mi riferisco al valore di fare esperimenti genetici, di migliorarci aggiungendo altri geni di altre specie che daranno al nuovo essere umano altre possibilità ibridandoci con altre specie. Immaginatevi di poter aggiungere ai nostri cinque sensi, qualcun altro: un sonar o un radar ad esempio se innestiamo geni di delfino o di pipistrello, o una visione notturna se innestiamo geni del ghiro. E che dire di far ricrescere arti amputati con ibridazioni provenienti da rettili come la salamandra? E’ questa la trasformazione postumana per via tecnologica di cui stiamo parlando.
Le ingiustizie presenti nel nostro sistema economico possono essere il pretesto per imporre l’egualitarismo che però rappresenta un’iniquità ancora maggiore perché utopica e irrealizzabile. E’ una dottrina politica e morale che aspira a realizzare l’uguaglianza tra i singoli, tra i gruppi e tra le classi. Fu il cristianesimo a introdurre il concetto: tutti gli uomini sono creature di Dio, uguali di fronte al Creatore. Tuttavia dobbiamo renderci conto che soltanto una comunità di destino basata sulla trasformazione postumana per via tecnologica potrà far saltare il banco dell’egualitarismo. Le ineguaglianze e privilegi sono giustificati proprio perché si collegano a una visione comune. Le persone capiscono che ciò che conta è il loro destino non la loro somiglianza, come il mozzo e il capitano a bordo della stessa nave o l’operaio e il padrone che lavorano nella stessa impresa. Le ineguaglianze e privilegi si giustificano nella misura in cui si collegano alla missione più alta e nobile, far funzionare la nave o l’impresa. In mancanza della “vision” comune, la reazione di chi è sottomesso è quella di chiedere più egualitarismo… I privilegi senza contropartita scatenano l’invidia di tutti; una sorta di “perché io no?” che scalza le basi morali della comunità.
Secondo alcuni pensatori, le recenti rivolte degli indignados contro un’oligarchia finanziaria che ha oramai preso il potere a suo proprio vantaggio con un colpo di stato silenzioso è il sintomo di inerzia morale da parte di uomini di potere. Viene spontaneo capire questi indignados, pensare con loro “se non ora quando”… e guardare i popoli arabi più coraggiosi di noi… o viceversa guardare noi per capire quanto siamo troppo sazi e addormentati per dire basta… Però dobbiamo stare attenti alle rivolte senza progetto, che vengono sollecitate e poi scippate da chi un progetto, magari indicibile, ce l’ha, progetto che il più delle volte è liberticida e viene subdolamente fuori dopo che le piazze hanno versato il loro tributo di morti. Non si esce da questa situazione solo con una rivendicazione di migliori condizioni di vita materiale, o con la ricerca astratta per ottenere una migliore distribuzione della ricchezza.
La verità è che la questione sociale non sarà mai pienamente risolta fintantoché non si crea una visione tecnosofica e postumana della società. Nel momento in cui il processo di evoluzione autodiretta raggiunge la soglia della consapevolezza, si esce dalla dimensione dei ciechi meccanismi socio-economici per raggiungere il livello del confronto politico. Per raggiungere questo livello di coscienza dobbiamo instillare nelle persone l’apertura mentale al cambiamento contro il veleno del passatismo, della tecnofobia e della nostalgia per un passato che sappiamo non potrà mai ritornare. Dobbiamo instillare la comunità di destino.
Dal sito dell'Associazione Tecnosophia


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