Pierluigi
Moressa è stato ospite di Caffè Letterario lunedì 26 novembre, per presentare
il suo saggio “Pianger di nulla. Gli affetti di Giovanni Pascoli” edito da
Raffelli Editore
“Ora, i cavalli non frangean la biada: dormian sognando il bianco della strada…”
Giovanni Pascoli, La cavalla storna vv. 57-58, 1903)
A Lugo di Romagna un lunedì sera d’autunno: le strade sono deserte, il buio avvolge il mondo, gli umori della campagna fanno avvertire il silenzio umido della notte, l’ansiosa attesa del nuovo giorno. Entriamo in una dimensione antica del tempo e delle cose: quasi si ode il richiamo lanciato sulle mura dalle guardie del duca d’Este, che qui fu sovrano, o il ritmo pesante della marcia impressa sulle contrade dalla guardia pontificia che qui intese contrastare gli assalti dei briganti durante una lunga notte del pensiero e delle coscienze. Un edificio elegante è illuminato e mostra, accanto all’ingresso, la vetrina opulenta e carica di colori; questa, come un quadro del Seicento olandese, offre una ricca natura morta di frutti, che suscita calore, invita a entrare. Siamo all’Ala d’Oro, albergo allestito entro gli spazi della casa neoclassica un tempo appartenuta ai conti Rossi di San Secondo. A poco a poco, arrivano nella grande sala dell’albergo persone numerose che si muovono alla svelta, con sicurezza, e prendono posto. Si avverte che l’appuntamento col Caffé letterario è cosa familiare, evento consueto, capace di illuminare la lunga notte romagnola. Uno spazio di tranquilla conversazione è oggi la dimora raffinata di Cornelia Martinetti Rossi, donna del Settecento, entrata nella storia del gusto e della cultura per essere stata raffigurata da Ugo Foscolo entro il carme “Le Grazie”. L’Ala d’Oro evoca nel nome le glorie di Francesco Baracca, aviatore della Grande guerra, la cui memoria si distende entro lo spazio enorme della piazza principale, che, a breve distanza, appare dominata dalle geometrie del monumento innalzato all’eroe. All’Ala d’Oro il clima raccolto e cordiale crea il senso di un punto di riferimento capace di illuminare la notte, di raccogliere i viandanti e, fuori dal presente, di offrire il ristoro ai cavalli prima di lasciar loro riprendere la bianca strada polverosa. Calore dell’ospitalità, pregio dell’eleganza, valore della cultura: questi i caratteri dell’accoglienza per chi parla e chi ascolta.
I cavalli, la
cavalla storna: abbiamo parlato di Giovanni Pascoli, dei suoi affetti, della
sua storia dolorosa e illuminata dalla poesia, di una vicenda di ingiustizia e
sentimenti divenuta immortale nel canto di un uomo capace di accostarsi alla natura
e alle cose con l’animo del fanciullo. E’ apparso chiaro che Pascoli fu
l’autore di una rivoluzione linguistica e poetica, che avrebbe trovato seguaci
lungo l’intero Novecento. Per dirla con Caproni e con Anceschi, Pascoli si
trovò tra le mani la dinamite e non se ne accorse. La sua parola, frammentata
ed evocativa, intima e diretta, fu esplosiva e ruppe con la tradizione del
verso carducciano, marmoreo e solenne, facendosi strumento efficace per parlare
al cuore dell’uomo, per narrare una vicenda di vita e di morte, di lacrime, di
affetti e di passioni: queste talvolta solo intuite, certamente descritte con
una forza poetica che all’autore fece sentire di poter vivere la vita, senza
averla mai realmente vissuta.
All’Ala d’Oro
si è parlato di Giovanni Pascoli; nella notte romagnola si è accesa la lampada
della poesia, che spesso diviene rivoluzione, svolta inconsapevole e destinata
ad aprire nuove visioni della vita, spazi originali del pensiero.Pierluigi Moressa






