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La discriminazione negli stadi

Creato il 10 ottobre 2013 da Tifoso Bilanciato @TifBilanciato

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa analisi di Federsupporter su uno degli argomenti oggi all'ordine del giorno. L'Avv. Rossetti ci dipinge il quadro di riferimento, in maniera esaustiva, per consentirci di capire meglio l'intera tematica.

Ne approfittiamo per suggerirvi di visitare il sito di Federsupporter, dove potrete vedere tutte le iniziative che questa Associazione ha posto in essere negli ultimi anni.

Con tanto entusiamo, in silenzio: perché non contribuire a darle voce? Pensateci.

  

 

 

La recrudescenza di chiusure, a livello nazionale ed internazionale, di settori di stadi o di interi stadi ripropone il problema del contrasto a manifestazioni discriminatorie in occasione di eventi sportivi, in particolare calcistici, nonché il problema delle conseguenze di tali manifestazioni.

 

Federsupporter aveva già compiuto un’ampia disamina dei suddetti problemi in un documento del 26 novembre 2012, consultabile sul sito www.federsupporter.it, con riferimento ad un’aggressione avvenuta a Roma nei confronti di alcuni tifosi del Tottenham.

 

Per comodità di consultazione, si ritrascrive di seguito il testo del predetto documento:

 

“L’aggressione avvenuta nei giorni scorsi a Roma contro alcuni tifosi del Tottenham ha dato luogo a tutta una serie di dichiarazioni e commenti.

Peraltro, tali dichiarazioni e commenti non si sono discostati da quelli cui hanno dato luogo in altre precedenti occasioni episodi analoghi a quello in oggetto.

Dichiarazioni e commenti, per lo più, caratterizzati da retoriche e declamatorie espressioni di sdegno ed indignazione, nonché dalla superficiale, demagogica, prevenuta e ideologicamente e politicamente orientata, criminalizzazione tout court, quali soggetti razzisti, violenti e pericolosi, di tutti indistintamente i sostenitori di una società di calcio.

Quanto sopra ancora in assenza di elementi fattuali certi, essendo solo all’inizio le indagini per appurare lo svolgimento dei fatti e per individuarne i responsabili.

Un tipo di reazioni che è proprio quello su cui frange asociali e violente contano, poiché conferisce notevole visibilità alle loro azioni criminali e consente loro di attribuirsi, di fatto, la rappresentanza, sia pure in negativo, di una intera tifoseria.

Non solo, ma è evidente che coloro i quali perseguono una strategia eversiva hanno interesse ad innescare, con le loro azioni, una escalation di reazioni che, penalizzando senza distinzioni una intera tifoseria, susciti in essa la percezione di una ingiusta punizione e persecuzione, dando luogo ad una controreazione che, invece di essere rivolta contro gli autori delle violenze, finisca per essere dirottata contro le Istituzioni sportive che quelle punizioni irrogassero .

Per queste ragioni Federsupporter non ha mai creduto e non crede nell’efficacia di deterrenza e prevenzione, anzi le ritiene controproducenti, di quelle norme dell’ordinamento sportivo che puniscono le società ed i loro sostenitori, nella loro interezza, per fatti e comportamenti violenti e razzisti di alcuni spettatori : in genere, poche centinaia su decine di migliaia di persone.

Né l’immediata dissociazione dai fatti e comportamenti suddetti, prevista dall’ordinamento sportivo come esimente da o attenuante di responsabilità, è di agevole attuabilità pratica, posto che i fatti e comportamenti in questione ( esibizione improvvisa di striscioni o cori improvvisi) sono attuati da gruppi, sebbene esigui, organizzati, mentre la massa del pubblico non è minimamente organizzata per reagire, in maniera spontanea e pronta, a simili manifestazioni.

Al punto che sarebbe, forse, opportuno che le società organizzassero gruppi di spettatori con il compito di intervenire immediatamente mediante l’esibizione di striscioni antirazzisti e cori di dissenso, qualora si verificassero l’ostensione di scritte razziste e l’intonazione di cori razzisti.

La verità è che, per isolare e marginalizzare i facinorosi ed i violenti, sono necessarie, da un lato, misure di coinvolgimento ed inclusione dei sostenitori nella vita delle società sportive e nelle stesse Istituzioni sportive e, dall’altro, misure di prevenzione e repressione personalizzate.

Per quanto riguarda le prime, si rileva che Federsupporter è nata, nel gennaio 2010, proprio con lo scopo di offrire ai sostenitori un soggetto di legittima e legalitaria rappresentanza dei loro diritti ed interessi, fondando la legittimità e la legittimazione di tale rappresentanza sul presupposto, giuridico ma non solo, che i sostenitori sono i finanziatori , i consumatori e gli utenti dello spettacolo sportivo.

La convinzione di Federsupporter si è basata e si basa sulla circostanza che in ogni società civile e democratica la pacifica e armoniosa convivenza è assicurata dalla presenza di corpi intermedi capaci di garantire l’effettiva partecipazione di tutti i consociati alla vita sociale.

Senza questi corpi intermedi, nella fattispecie rappresentativi dei sostenitori, le Istituzioni, sportive e statali, finiranno per dover sempre e solo confrontarsi con i gruppi così detti “ultras”.

Ed è per queste ragioni che Federsupporter ritiene una grave colpa delle Istituzioni e delle società sportive, nonché delle Istituzioni in genere, ad eccezione dell’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive che, almeno finora, è il solo ad aver compreso l’importanza e l’utilità sociali di un soggetto come Federsupporter, di aver ignorato l’Associazione e le sue molteplici attività ed iniziative, volte tutte a rappresentare e tutelare, in maniera assolutamente legittima, legalitaria, costruttiva e propositiva, i diritti e gli interessi dei sostenitori.

Grave colpa da attribuirsi anche ai maggiori organi di informazione, sportivi o che si occupano di sport, i quali, pure, finora, nella stragrande maggioranza, hanno ignorato e taciuto le iniziative e le attività suddette.

Quegli stessi organi di informazione pronti, però, in presenza di eventi come quello in oggetto, a criminalizzare, come detto, senza ancora riscontri probatori, un intero popolo di sostenitori, calunniati e diffamati , senza distinzione alcuna, sulla base di meri teoremi e per principio.

Per quanto riguarda misure preventive e repressive, queste non possono e non devono essere di massa, una sorta di vere e proprie “decimazioni”, così come attualmente prevede l’ordinamento sportivo, bensì assolutamente individualizzate nei confronti degli autori di fatti e comportamenti illeciti.

Non v’è dubbio che le punizioni di massa, non solo non hanno nessuna efficacia dissuasiva nei confronti di gruppi o gruppuscoli asociali e violenti, ma , anzi, conferiscono loro un potente strumento di ricatto nei confronti delle società e della stragrande maggioranza dei sostenitori corretti.

Queste frange asociali e violente non hanno alcuna, reale passione sportiva e non hanno alcun interesse al buon andamento di una società: anzi, dal loro punto di vista, il tanto peggio corrisponde al tanto meglio perché in questo modo si ampliano le occasioni di poter pescare nel torbido.

Tali frange strumentalizzano l’appartenenza sportiva solo come pretesto delle loro azioni e solo come occasione di esaltazione di queste ultime.

L’unico principio che le ispira e le guida è quello del disprezzo per tutte le concezioni razionali di vita e l’unica cultura che posseggono è quella della violenza.

E, infatti, non a caso, il modello organizzativo ed il modo di agire delle suddette frange è quello squadristico, in cui il principale fattore di aggregazione e solidarietà è, per l’appunto, l’esercizio della violenza e la complicità nelle azioni criminose.

E’ nella “ squadra” che si annulla ogni differenza sociale e che si amalgamano elementi socialmente i più disparati ( studenti, operai, disoccupati etc. ) ,che si cementa il cameratismo e ci si eccita all’azione.

Laddove, ulteriore tratto distintivo del modus operandi squadristico di tali frange, è costituito dalla conquista o distruzione di icone ed emblemi di quelli che sono considerati e scelti come gli avversari di turno.

Né va sottovalutata la funzione propagandistica e seduttiva che l’esercizio della violenza ha nei confronti di giovani e giovanissimi, sempre più privi di valori, di illusioni e senza speranze nel futuro.

E’ chiaro, allora, che, per combattere con successo questi fenomeni, è necessaria la forza dello Stato che deve essere tempestiva, efficace e mirata, se vuole risultare giusta e condivisa.

Gli strumenti per l’esercizio di questa forza esistono in abbondanza.

Dal 1989 al 2007 lo Stato si è dotato di una imponente, severa e, si potrebbe dire, persino impressionante legislazione dedicata a prevenire e reprimere fenomeni di violenza e razzismo in occasione o a causa di manifestazioni sportive.

Si va dal DASPO, preventivo e successivo, agli arresti differiti, al divieto di trasporto ed introduzione di ogni strumento potenzialmente atto ad offendere, al divieto di striscioni e di cori razzisti, al divieto di trasporto e introduzione di artifici fumogeni o esplodenti, al divieto, in qualsiasi modo, di travisamento.

Tanto è vero che si sta pensando ora di utilizzare le disposizioni previste per le manifestazioni sportive, allo scopo di prevenire e reprimere fenomeni di turbamento dell’ordine pubblico e di violenza in generale.

Aggiungasi alla strumentazione sopra indicata la tessera del tifoso, l’introduzione degli steward e le videoregistrazioni.

Vi sono, dunque, tutte le possibilità per individuare e punire ciascun singolo soggetto che si renda autore di atti e comportamenti violenti e razzisti in occasione o a causa di manifestazioni sportive e non v’è, perciò, né bisogno né convenienza che, per tali atti e comportamenti, siano chiamati a rispondere e a pagare decine di migliaia di sostenitori corretti e società del tutto esenti da ogni responsabilità.

Né è ipotizzabile che dette responsabilità possano sussistere nel caso, come quello in oggetto, di aggressioni avvenute con modalità di tempo e di luogo non immediatamente collegabili all’evento sportivo e con autori che, a quanto finora consta, non perseguivano alcuna finalità sportiva.

E’, altresì, opportuno sottolineare che in uno Stato di diritto e democratico l’uso legittimo della forza, onde prevenire e reprimere fatti e comportamenti penalmente illeciti, come quelli di cui si occupa la citata legislazione, non può che essere monopolio dello Stato stesso, non potendo tale uso essere, in alcun modo e sotto qualsiasi forma, delegato a soggetti privati, come le società sportive e non potendo essere surrettiziamente vicariato dall’ordinamento sportivo, mediante sanzioni spersonalizzate, posto che, trattandosi di illeciti penali, la responsabilità di essi, nel rispetto di un principio costituzionale ( art 27 , 1° comma, Costituzione), non può che essere personale.

Caso mai v’è da chiedersi se, in che misura, con quali risultati pratici, l’imponente strumentazione legislativa volta a prevenire e reprimere manifestazioni di violenza in occasione o a causa di eventi sportivi sia stata e venga concretamente utilizzata ed applicata.

Circa, poi, generalizzate e generiche criminalizzazioni, addirittura di una intera città, oltre tutto provenienti da pulpiti non propriamente legittimati ad impartire prediche o lezioni in fatto di criminalità, sportiva ed extrasportiva, sarebbe, forse, meglio che certi improvvisati ed improvvidi censori, in specie esteri, si astenessero da tali prediche e censure, spesso palesemente strumentali e, come detto, ideologicamente e politicamente prevenute e orientate, ricordandosi anche di fatti, a volte ben più gravi, di casa propria.

Quanto, infine, a rigurgiti di antisemitismo che, purtroppo, stanno riemergendo, non solo e non tanto in ambito sportivo e non solo in ambito nazionale, Federsupporter ritiene che tali rigurgiti siano essenzialmente il frutto della grave situazione economica, sociale, della perdita di valori, della crisi dei corpi intermedi, della scuola, della famiglia; situazioni e crisi che sta vivendo il nostro Paese, scaricandosi tutto ciò, come la storia insegna, sulle minoranze etniche e religiose.

Federsupporter, pertanto, si riserva di rivolgersi alle Associazioni rappresentative del mondo ebraico, allo scopo di poter concordare forme di confronto e di dialogo fra tali Associazioni ed il mondo dello sport e dei sostenitori sportivi, affinchè possano essere studiate ed attuate forme di contrasto all’antisemitismo sul piano culturale e della diffusione e condivisione di valori, che sono propri e peculiari dello sport, di tolleranza, di non violenza di reciproca conoscenza e fratellanza”.

 

Il Codice Disciplinare FIFA all’art. 58 (Discriminazione), prevede, tra l’altro, la sanzione dell’interdizione dallo stadio nei confronti di “Chiunque offenda la dignità di una persona o di un gruppo di persone attraverso parole o azioni di disprezzo, discriminatorie o denigratorie, nei confronti della razza, del colore, della lingua, della religione e delle origini”.

Il Codice Disciplinare UEFA, all’art. 14 (Razzismo, altre discriminazione e propaganda), prevede che, se i sostenitori di un club insultino “La dignità umana di una persona o di un gruppo di persone con qualsiasi mezzo, incluso per motivi legati al colore della pelle, alla razza, religione o origine etnica”, il club è punito con la sanzione minima della chiusura parziale dello stadio. Un secondo comportamento del genere è punito “con una partita giocata a porte chiuse ed una multa di 50 mila euro”, mentre ogni successivo reato è punito “con più di una gara a porte chiuse, una chiusura dello stadio, la perdita di una partita, la detrazione di punti o la squalifica dalla competizione”.

Il Codice di Giustizia Sportiva della FIGC, all’art. 11 (Responsabilità per comportamenti discriminatori), stabilisce che “Costituisce comportamento discriminatorio, sanzionabile quale illecito disciplinare, ogni condotta che, direttamente o indirettamente, comporti offesa, denigrazione o insulto, per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine territoriale o etnica, ovvero configuri propaganda ideologia vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori”.

Il successivo comma 3 dello stesso art. 11dispone che “Le società sono responsabili per l’introduzione o l’esibizione negli impianti sportivi da parte dei propri sostenitori di disegni, scritte, simboli, emblemi o simili, recanti espressioni di discriminazione. Esse sono altresì responsabili per cori, grida ed ogni altra manifestazione espressiva di discriminazione.”

Le sanzioni previste sono quelle di ammende, mentre, nei casi di recidiva, oltre all’ammenda, si possono applicare, congiuntamente o disgiuntamente, in considerazione delle concrete circostanze del fatto, l’obbligo di disputare una o più gare a porte chiuse, di disputare una o più gare con uno o più settori privi di spettatori, la squalifica del campo per una o più giornate di gara o a tempo determinato fino a due anni. Inoltre, nei casi di particolare gravità e di pluralità di violazioni, alle società possono essere inflitte, in aggiunta alle sanzioni precedenti, la punizione della perdita della gara, ovvero la penalizzazione di uno o più punti in classifica, l’esclusione dal campionato di competenza o da qualsiasi altra competizione agonistica obbligatoria, la non ammissione o esclusione dalla partecipazione a determinate manifestazioni.

Come si può constatare, sia la normativa sportiva calcistica internazionale sia quella nazionale contemplano nozioni e definizioni di comportamenti discriminatori sanzionabili ad amplissimo spettro, così come contemplano una gamma di sanzioni per detti comportamenti assai vasta, articolata e con le conseguenze più gravi possibili a carico dei tifosi e delle società.

 Non ci si può, quindi, stupire del fatto che basti qualche piccolo gruppo di spettatori che esibisca striscioni o si lasci andare a cori o grida dispregiativi attinenti, oltre che alla razza, alla religione, all’etnia nazionale, anche alle origini territoriali e, più in generale, alla dignità di una persona o di un gruppo di persone, perché scattino le sanzioni di cui sopra.

Si potrebbe configurare, altresì, la punibilità di denigrazioni ad appartenenze categoriali (per esempio, a categorie professionali, lavorative), nonché a provenienze, oltre che regionali, provinciali, comunali, persino di quartiere, fermo restando che in tali denigrazioni potrebbero  senz’altro le offese consistenti in specifiche “qualità”  (per esempio, “burini”, “cafoni”, “terroni”, “polentoni”, “zozzi”, “colerosi”, ecc.) attribuite ad altri tifosi.

V’è, insomma, il rischio che un doveroso, giusto e serio contrasto, anche nello sport e nel calcio, a forme e manifestazioni di discriminazione, in specie razziale, etnica e religiosa, se non ragionevolmente interpretato e applicato, si trasformi in farsa, degna della serie “Totò, Peppino e…”.

Ogni manifestazione ed espressione (striscioni, cori, grida) rientranti nell’ambito di un evento sportivo e, segnatamente, di una partita di calcio, vanno – andrebbero -, infatti, adeguatamente contestualizzate.

Non si può pretendere che ci si comporti in quelle occasioni, così come ci si comporterebbe o ci si dovrebbe comportare nei luoghi sacri o nei salotti.

Lo sport e, soprattutto, il calcio comportano un forte senso di identità e di appartenenza a una comunity oggettivamente in conflitto, sia pur entro i limiti dell’evento sportivo, con un’altra analoga comunity.

Né si può ignorare o far finta di ignorare che “Il paese è maturato con i Comuni e le Signorie, quando l’attenzione e l’amore per i confini del proprio campanile rappresentavano il vero elemento di identità. Non di rado e ancora oggi, le città vicine anche nella stessa regione, sono attraversate da correnti di cordiale antipatia. Un tempo era guerra, con alleanze che si realizzavano fra comunità più lontane per abbattere quelle più prossime. Adesso, sono rimasti, come retaggio, gli antichi sfottò e qualche solco culturale che è difficile colmare. “I pisan veder Lucca non ponno”, è la metafora estetica di spicchi di società costruiti attorno al campanile. “Veneziani gran signori/padovani gran dottori/vicentini magna gatti/veronesi tutti matti” (cfr “L’Italia bugiarda”, pagg. 18-19, di Lorenzo Del Boca, Edizioni Piemme, 2013).

Ritengo che le normative FIFA, UEFA e quella nazionale della FIGC in materia di divieto e contrasto a forme e comportamenti discriminatori siano largamente influenzate dal principio del “politicamente corretto” (politically correct).

Tale principio, risalente agli anni ’30 e riconducibile agli ambienti intellettuali statunitensi liberal e marcatamente di sinistra (alcuni studiosi parlano di “Cultural marxism”), ha fatto e fa sì che ogni espressione comportamentale e del linguaggio debba conformarsi ad una astratta correttezza politica, tale da escludere, anche potenzialmente, qualsiasi riflesso negativo dal punto di vista razziale, etnico, religioso, di genere, di sesso, di età o relativo ad imperfezioni fisiche o psichiche della persona.

Questo estremismo, non solo politico, ma anche culturale ed espressivo, ha portato e porta ad altrettante estremizzazioni linguistiche, che, spesso, rasentano anche il grottesco, per cui non esistono più “vecchi”, “ciechi”, “paralitici”, “bidelli”, “segretarie” e, persino, “padre” e “madre”, questi ultimi sostituiti da,“genitore 1” e “genitore 2”.

 Questi estremismi e queste estremizzazioni hanno, peraltro, scandalizzato anche illustri esponenti della stessa cultura di sinistra, quale, per esempio, Natalia Ginzburg, la quale in un articolo su “l’Unità” del 1989 denunciava l’affermarsi di un “Linguaggio artificioso, cadaverico, fatto di quelle che Wittgenstein chiamava le parole – cadaveri” e denunciava l’arroganza “Di una società che ignora l’ ironia e ritiene di poter coniare e diffondere a getto continuo le proprie irreali parole. Ci troviamo così circondati di parole che non sono nate dal nostro vivo pensiero, ma sono state fabbricate artificialmente con motivazioni ipocrite, per opera di una società che ne fa sfoggio e crede con esse di aver mutato e risanato il mondo”.

Quali, dunque, i rimedi ? Per rispondere alla domanda non posso che rinviare alle considerazioni ed ai suggerimenti  contenuti nel documento del 26 novembre 2012 sopra trascritto.

Come ultima notazione, sottolineo che, sempre più spesso, le sanzioni a livello UEFA per comportamenti e manifestazioni discriminatori sono comminati su denuncie del FARE (Football Against Racism in Europe).

Quest’ultima è una “rete” costituita, ad oggi, secondo quanto si può apprendere dal sito dell’UEFA, da n. 125 Organizzazioni o Associazioni di vario e svariato genere,  tra le quali figurano alcune italiane, come: A.S.D Balon Mundial Onlus, Asd Polisportiva Jackie Tonawanda, Asì es mi futbol, Biancocelesti.org, Esquilino Football Club, Liberi Nantes, Polisportiva Sanprecario Padova, Rude Boys And Girls Sampdoria, Unione Italiana Sport Per Tutti (UISP).

L’UEFA intrattiene una stretta relazione e partnership con la suddetta “rete” che finanzia, fungendo esponenti del FARE, in occasione di manifestazioni organizzate dalla UEFA, da osservatori dei comportamenti del pubblico che assiste a tali manifestazioni e provvedendo a denunciare alla stessa UEFA eventuali manifestazioni e comportamenti ritenuti discriminatori da parte del suddetto pubblico.

 Da un punto di vista istituzionale e giuridico, il FARE, dunque, non può considerarsi un soggetto facente parte dell’ordinamento sportivo e, in particolare, un Organo o un Organismo di tale ordinamento, rispetto al quale può, al massimo, considerarsi un soggetto associativo di natura e diritto privatistico meramente  “ausiliario”.

Lascia, perciò, alquanto perplessi che provvedimenti disciplinari e sanzionatori, con gravi conseguenze per le società ed i tifosi,  possano essere irrogati dalla UEFA, non esclusivamente sulla base di referti arbitrali, di giudici di campo, di delegati della stessa UEFA, bensì, anche o solo, di denunzie di esponenti della sunnominata “rete”.


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