Il saggio di Filippo Astone parla della crisi della regioni del nord e ne individua le cause all'interno della classe politica nordista che in questi venti anni ha amministrato comuni, provincie regioni e paese: come spiega l'autore “questo libro ruota attorno alla «questione settentrionale», o, meglio, attorno al suo lato oscuro: l’inadeguatezza e la rapacità delle sue classi dirigenti”.
Classi dirigenti che nel lontano 1994
erano calate dal nord produttivo verso Roma ladrona per
settentrionalizzare il paese e che invece hanno solo causato la
meridionalizzazione delle regioni sotto le alpi: “a
vent’anni di distanza non solo i leader del Nord non hanno imposto
i loro presunti valori al resto d’Italia ma paiono averli
dimenticati. Alla meritocrazia si è sostituito il nepotismo, alla
concorrenza i favori personali”.
Non solo il nord non è
riuscito a esportare le sue virtù (la buona sanità, amministrazioni
che funzionano, infrastrutture realizzate nei tempi e nei costi) al
resto d'Italia, ma le cronache giudiziarie ci raccontano di come
oramai la famosa “linea della palma” sia bel oltre la linea del
Pò, solo per parlare della mafia. Visto che non ha più senso
parlare di rischio infiltrazione.
La meridionalizzazione del nord
ha portato all'occupazione da parte della politica di tutte le
poltrone possibili, l'assenza di controllo sulla spesa pubblica usata
solo per favore amici, l'assenza di meritocrazia, di rispetto delle
regole e del bene comune, cementificazione, traffico illegale di
rifiuti, e ancora “corruzione, clientelismo, malagestione,
mafie, sottosviluppo economico, lentezza, incapacità o impossibilità
di prendere decisioni”.
Nulla è stato risparmiato ai
cittadini di Lombardia, Piemonte, Veneto.
Colpevole di questa
disfatta è soprattutto un’intera generazione di politicanti e
affaristi del Nord: “passando da Maroni a Formigoni, da Monti a
Tosi e Ponzellini, dalla Lega a Comunione e Liberazione; tra banche
che finanziano gli amici anziché le piccole imprese, grandi aziende
pronte a fuggire all’estero, ricchezze accumulate a scapito della
salute dei cittadini”.
Le inchieste della magistratura non sono il problema, ma solo il
sintomo di una malattia grave, che rischia di essere sottovalutata:
prendiamo ad esempio l'inchiesta che riguarda Formigoni e la Maugeri:
i numeri che la magistratura contesta ai ciellini Pierangelo Daccò e
Antonio Simone, sono 70 milioni di euro, relativi a uno soltanto
degli almeno 20 filoni di inchiesta.
Solo questa cifra è pari all’intero importo della tangente
Enimont (150 miliardi di vecchie lire): tangente Enimont che segnò
la fine di un'intera classe politica della prima Repubblica.
Spiega l'autore, e lo ripete più volte nel corso del libro che a lui non interessa tanto l'aspetto giudiziario: “ciò che conta davvero sono i comportamenti (morali, storici, gestionali e politici) che emergono dagli atti giudiziari e dalle cronache”.
Tutti i politici coinvolti nelle inchieste raccontate infatti si dicono sereni, nell'attesa che la magistratura faccia il suo corso. Al massimo, quando proprio lo scandalo è enorme, parlano di complotti politici orditi da giudici o dall'opposizione.
Così si è difeso Bossi, così si difende Formigoni.
Ma le inchieste raccontano di fatti che meriterebbero, a prescindere dal corso giudiziario, una risposta politica. Chi ha fatto entrare la ndrangheta nei cantieri del nord e perfino dentro la giunta regionale? Come si fa a parlare di regione virtuosa, buon governo, quando non si conoscono i costi della sanità, quando questa è praticamente in mano ad un movimento religioso e dove tutti i dirigenti di Asl e strutture ospedaliere sono nominati per tessera politica (e non per merito)? Come sono potuti capitare gli scandali del Santa Rita, dei rimborsi regionali, il crac del S. Raffaele?
I numeri della questione settentrionale.
Se si esclude la Lega, nessun partito politico porta nella sua agenda la questione settentrionale (e questo è l'unico merito che si può concedere al Carroccio). Il nord, in pratica le tre regioni citate poco prima, mantengono il resto d'Italia, sia in termini di PIL prodotto, sia in termini di tasse che escono dal territorio e finiscono al governo centrale e alle altre regioni. Alcuni dati forniti dall'autore: “in media, ciascun lombardo spende (in tasse) 3800 euro ogni anno per mantenere i connazionali del Centro e soprattutto del Sud”.
E ancora: “ogni anno i cittadini della Sicilia ricevono dalle altre regioni italiane la bellezza di venticinquemilaseicento miliardi di vecchie lire”. Il Nord nel suo insieme, con il 45,5% della popolazione, produce il 54,5% del pil. Il Sud con le isole, abitato dal 34,9% degli italiani, produce infine il 16% del pil.
Questi numeri che raccontano di una Italia a due velocità dovrebbero far riflettere: prima per capire come far diminuire questo gap (far sì che il meridione cresca come PIL, come benessere, come servizi ottenuti dallo Stato). Dall'altro per l'importanza nel saper amministrare correttamente questa ricchezza, saper governare questa locomotiva che oggi, per colpa della crisi e di questa malagestione, rischia di rimanere al palo. E se il nord tracolla, per i numeri che abbiamo visto prima, tutto il paese cade.
Il falso mito dell'eccellenza lombarda
In un precedente post avevo riportato tutte le considerazioni dell'autore che smonta il falso mito della Lombardia sinonimo di buon governo: la Lombardia è oggi governata, col silenzio complice della Lega, da CL e dal suo braccio operativo che è la Compagnia delle Opere.
Nella mia regione, di fatto, è stata realizzata una sorta di privatizzazione nei beni pubblici, fatta coi soldi dello Stato, del cittadino: “Formigoni e i suoi accoliti sono riusciti a realizzare, a modo loro, il sogno leghista: la disarticolazione dello Stato.[..]
è stata privatizzata buona parte della sanità, dei servizi sociali, del welfare, della gestione dei beni comuni.[..] La privatizzazione «sussidiaria» apre anche la strada alla riduzione della spesa sociale tout court.”
Si dice che questa privatizzazione coi soldi pubblici alla fine costi poco al cittadino e che abbia portato la sanità a livelli di eccellenza: ma la realtà, spiega l'autore, è diversa. La sanità è a buoni livelli grazie a tutti i soldi che vengono in essa investiti, grazie al lavoro fatto ben prima che arrivasse Formigoni.
Il sedicente Governo tecnico di Monti
Forse pochi altri governi erano nordisti come quello del professore in loden: anche lui si prende la sua parte di demerito per come ha gestito il suo anno abbondante di esecutivo, sia per l'Italia che per il nord. Monti è subentrato a Berlusconi e al suo governo del Bunga bunga (che non riusciva più a fare alcuna riforma per sanare il deficit e che per anni non aveva nemmeno ammesso l'esistenza di una crisi): il professore in loden è stato chiamato come salvatore della patria, uno dei tanti nella nostra sfortunata storia, per salvarci dal default: “il paese si è salvato per qualche mese dal default e dal discredito internazionale, facendo però pagare tutto il conto alle fasce più deboli della popolazione”.
Salvataggio compiuto grazie alle sue “riforme”, parola che da allora “è diventata espressione di sacrifici e peggioramento”: la riforma delle pensioni (che ha causato il dramma degli esodati) e quella del lavoro (che non ha portato alcun beneficio nell'occupazione).
“Con Monti e i suoi tecnici nessuno dei problemi strutturali (la bassa crescita economica, il pauroso deficit che affliggono l’Italia è stato risolto. [.. ] Il nordista bocconiano Monti ha lasciato il Paese in uno stato peggiore [..] ha evitato il default e ha offerto un’immagine internazionale più presentabile del «Bunga Bunga» berlusconiano”.
La riforma Fornero ha creato “lavoratori che oggi hanno fra i 25 e i 50 anni sono stati trasformati, senza saperlo, nei poveri di domani. Senza una pensione dignitosa” e più facilmente licenziabili. I conti del paese sono stati tamponati dai tecnici che “hanno impostato solo una politica di aumento della tassazione, riduzione dei diritti dei lavoratori, prelievo di risorse dall’Inps”.
Nonostante le tante promesse e i titoloni dei giornali, “Non
c’è stato alcun rigore. Solo aumento delle tasse e riduzione dei
diritti dei lavoratori”.
La spesa pubblica e il debito pubblico non sono stati ridotti in
alcun modo, non è stata fatta nessuna reale liberalizzazione o
apertura dei mercati chiusi.
Scrive l'autore: “Grazie alle «riforme» montiane, sul
fronte fiscale, le entrate passeranno da 740 miliardi nel 2011 a 765
nel 2013, 800 miliardi nel 2014 e 820 nel 2015.[..]
I sacrifici sono stati a carico soprattutto delle famiglie, che
soffriranno per l’aumento delle bollette
[..] In nome di presunte «necessità» ci si è accaniti
contro le parti più deboli della popolazione, senza chiedere
alcunché alla parte più ricca del Paese, ai percettori di rendite
di posizione, alle banche”.
Come si è visto ora, tutto questo rigore senza crescita strozza
l’economia.
Doveva essere il trionfo del manager e del politico tecnico, e invece è stata solo la dimostrazione della “inadeguatezza di Monti, visto che, nemmeno un mese dopo l’incontro a Melfi, Marchionne ha annunciato due anni di cassa integrazione proprio nella fabbrica della Basilicata appena visitata con Monti”.
Spiega Astone : “quella di Monti è solo ideologia, [..] Mario Monti si toglie la maschera del tecnico e si rivela per quello che è sempre stato: un politico, pronto a sfruttare la visibilità ottenuta con la premiership per correre alle elezioni”.
Il
caso Ponzellini: il volto della disfatta
“Se la
disfatta del Nord potesse avere un volto, sarebbe quello pingue e con
gli occhiali alla Onassis di Massimo Ponzellini, l’ex presidente
della Banca popolare di Milano”: Ponzellini, come gli esponenti
della politica, è uno dei protagonisti della storia di questa
disfatta.
Presidente della banca popolare, che è arrivato a
questa carica grazie alla sponsorizzazione della Lega ma che è stato
votato grazie anche alla lobby dei sindacalisti-azionisti in banca
(per mantenere i propri privilegi), è riuscito nel compito di
portare la sua banca in crisi, a tradire il suo mandato (che doveva
essere quello di favorire le piccole imprese) per finanziare i grandi
imprenditori del salotto buono della finanza (Ligresti e
Caltagirone). Ma anche BPLUS di Francesco Corallo. Figlio del boss
mafioso Gaetano Corallo, vicino a Nitto Santapaola, l'uomo dei
corleonesi a Catania.
Astone racconta della Bplus,
dell''attività di lobbying da parte delle società di giochi online
nei confronti della politica (PDL) per avere leggi più favorevoli :
“Nel marzo 2012 in Commissione finanze della Camera, dove
siede Laboccetta, un emendamento del Pdl fa cadere le barriere
antimafia per le concessionarie dei giochi d’azzardo, abolendo per
i soci l’obbligo della certificazione”.
Non solo “quando la Corte dei conti contesta all’Atlantis
un danno all’erario per aver scollegato le slot machine dal sistema
telematico della Sogei, Laboccetta (come risulta da intercettazioni
predisposte per altre cause dal pm Henry John Woodcock) fa pressione
sull’allora segretario di Fini Francesco Proietti Cosimi, perché
la concessione dell’Atlantis non venga revocata”.
Ma oltre alla storia dei Corallo,
Astone racconta anche della raccomandazione chiesta da Grilli (quando
era dirigente del ministero del Tesoro) a Ponzellini per la nomina a
presidente della Banca d'Italia : “il milanese bocconiano
Vittorio Grilli (non ancora assurto a ministro «tecnico»
dell’Economia) cercherà più volte di farsi raccomandare da
Ponzellini per ottenere dal centrosinistra d’opposizione la
benevolenza verso la sua corsa all’incarico.
[..]
Grilli non diventerà mai governatore, risultando battuto da
Ignazio Visco. Ma se ce l’avesse fatta, sarebbe stato proprio lui a
vigilare su Ponzellini”.
Conclude l'autore: “l’affaire Ponzellini dimostra che,
al di là delle parole, i politici della Lega Nord non hanno mai
lavorato in favore del proprio elettorato di riferimento e dei
relativi territori. Alla Lega, una banca serviva solo per la sua
leadership, e per il ristretto clan che la circondava”.
La
mafia al nord
Altra
causa della disfatta del nord, la presenza della mafia dentro i
gangli dell'economia: “Il fronte più
insidioso della disfatta del Nord è rappresentato dalle mafie che –
grazie all’alleanza con alcuni settori delle élite settentrionali
– vanno colonizzando con successo territori un tempo sani e
produttivi”.
I mafiosi, che l'autore chiama i “Caproni”,
“pervertono il sistema della concorrenza capitalistica, facendo in
modo che nella competizione di mercato non prevalga il migliore”,
perché alla fine vince chi ha dietro di sé la criminalità
organizzata. Per cui riesce a spuntare prezzi più bassi per un
appalto, tariffe più convenienti per lo smaltimento rifiuti ..
Come succedeva per la Sicilia alcune decine di anni fa, per molti,
la mafia al nord non esiste e , se esiste, è solo una presenza
sporadica. Eppure “secondo il Mafia Index, un vero e proprio
indice della penetrazione della mafia in Italia, elaborato da
Transcrime la Lombardia è la regione del Nord a maggiore densità
mafiosa”.
“Il catalogo dei luoghi comuni vuole che le mafie al Nord
non siano poi così presenti e che gli imprenditori collusi siano
stati costretti dalle minacce” racconta
e dunque la penetrazione che non è frutto della minaccia dei
“caproni” agli imprenditori padani ma bensì “sono al
contrario i colletti bianchi settentrionali che si rivolgono ai
criminali, che li corteggiano”.
Le mafie hanno
costituito delle vere e proprie reti che mettono assieme
professionisti, imprese, politici locali. Che devono a questa rete
criminale la propria ascesa politica: per i voti presi, per in
finanziamenti.
Per raccontare questo fenomeno, l'autore racconta poi i casi dell'assessore Massimo Ponzoni, del costruttore Ivano Perego e dell'assessore regionale alla Casa Domenico Zambetti.
Dove erano gli amministratori virtuosi? Dove era la Lega?
Il fallimento della Lega
Tra i principali artefici della Caporetto nordista c’è la Lega – mette subito in chiaro l'autore: “il Nord non è mai riuscito a esprimere una leadership politica all’altezza della sua economia e del suo tessuto sociale”.
La Lega “ha alimentato una classe di politicanti che sotto lo spadone di Alberto da Giussano si è rivelata vorace, disonesta e incapace [..] i consiglieri regionali del Carroccio si sono completamente appiattiti su Formigoni e Comunione e liberazione”. La politica che Astone chiama la “sussidiarietà dei favori”.
La Lega “ha
la responsabilità di aver creato un clima culturale diffuso che ha
fornito risposte sbagliate ai problemi del Nord: chiusura invece di
apertura al mondo globalizzato e alle sue opportunità,
tradizionalismo invece di innovazione”. Ma anche occupazione
delle poltrone come faceva la vecchia Democrazia Cristiana, ha dato
troppa enfasi al problema della piccola criminalità, dimenticandosi
delle mafie (che nel frattempo erano entrate nell'Ortomercato), ha
ricandidato consiglieri che erano stati immortalati assieme a mafiosi
(come Ciocca), non si è accorta degli affari del suo tesoriere
Belsito (l'inchiesta parla di ipotesi di riciclaggio e associazione
mafiosa).
Aver promesso agli elettori il famoso “federalismo”
e aver invece solo portato ai tagli lineari da Roma, il patto di
stabilità, il porcellum (che blocca gli eletti in Parlamento),
l'aumento delle tasse regionali.
Il fallimento della Lega :
“Sì, la Lega ha fallito almeno tre volte: dal punto di vista
morale, politico e gestionale.”.
La
disfatta del Piemonte
Infine,
cosa sta succedendo in Piemonte, dopo che la Fiat ha deciso, ma non
l'ha detto chiaramente, di abbandonare il nostro paese. Tutta colpa
del Contrattone stipulato tra Fiat e Chrysler, nel 2009: riuscirà il
nord e il paese a fare a mano della sua più grande (e unica) azienda
di auto?
La conclusione dell'autore:
come può uscirne il nord, da questa disfatta? Solo con un alleanza
trasversale, da parte di tutto il ceto veramente produttivo.
Un'alleanza dei contadini, la chiama Filippo Astone.
Quello
cioè, che non ha solo succhiato risorse per se e per gli amici,
aziende che investono in ricerca (come la Mapei di Squinzi, il nuovo presidente di Confindustria), che non credono nella libertà di
licenziamento per fare impresa, aziende che non godono di protezioni
politiche o che fanno impresa esclusivamente col denaro (e le
sovvenzioni, e la sussidiarietà) del pubblico.
Contadini in
contrapposizione ai Luigini, quelli che governano le aziende coi
patti di sindacato, con le reti di relazioni dei salotti
buoni.
Perché questi contadini
non propongono alla politica una “piattaforma
che promuova le istanze dei produttori ed elimini le rendite di
posizione do coloro che nulla generano e tutto succhiano?”.
Così
il nord potrebbe rallentare la corsa verso la disfatta.
Approfondimenti e altre letture:
Report - la banca degli amici (BPM)
Giuseppe Gennari - Le fondamenta della città
Presa diretta: basta con l'austerity
Presa diretta: ndranghetisti
Presa diretta: Ricchi e poveri
Davide Milosa, Gianni Barbacetto Le mani sulla città
Giuseppe Caruso e Davide Carlucci A Milano comanda la ndrangheta
La disfatta del nord, di Filippo Astone (Longanesi editore) Il link per ordinare il libro su Ibs e Amazon