C'è stato un importante evento il 5 dicembre a Bari. Un evento che ha messo di fronte il prof. De Crescenzo, leader del Movimento Neoborbonico, ed il prof. Barbera, piemontese, che di recente ha pubblicato un libro "I prigionieri dei Savoia”, dall'intento dichiarato di contrastare le "mistificazioni neoborboniche” sul lager di Fenestrelle, dove furono rinchiusi e persero la vita, centinaia di cittadini e militari dell'esercito duosiciliano.
Premesso che il revisionismo su Fenestrelle non è soltanto di natura "neoborbonica" (tale diffusissima etichetta rivolta anche a chi scrive, è solo un modo per diminuire e confinare un fenomeno ben più ampio) ma accomuna una parte consistente della società civile meridionale, così come il comune sentire verso la chiusura del museo lombrosiano di Torino.
De Crescenzo ha rilevato la lacunosità delle ricerche di Barbero, rilevando che ha utilizzato solo una minima parte delle fonti archivistiche disponibili (il 2,3% di quelle presso l’Archivio di Stato di Torino, ancora di meno quelle presso l’archivio dello Stato Maggiore dell’Esercito Italiano, nessuna presso gli archivi civili ed ecclesiastici del Sud e del Nord o presso l’Archivio Centrale dello Stato a Roma…). Sorprendente la risposta di Barbero che, “non potendo trascorrere decenni negli archivi, secondo la sua coscienza ha ritenuto sufficienti quelle ricerche e ha tratto delle conclusioni”.
Ecco uno stralcio sul racconto di chi ha partecipato alla serata:
Ovvio che si tratta di una scelta legittima. Ovvio anche che coscienza e ricerca archivistica dovrebbero restare su piani diversi. Ovvio anche, però, che questa scelta non può autorizzare nessuno a parlare di “assolute certezze” (!) o a dichiarare “chiuse” questioni così complesse o ad accusare tutti gi altri di “mistificazioni o strumentalizzazioni a fini immondi” o a trattare con un distacco al limite del disprezzo quei soldati che, come ha evidenziato De Crescenzo, pure ammesso che non siano stati vittime di una “volontà sterminatoria” furono deportati lontano dalla loro patria contro la loro volontà e, di fatto, sterminati… Barbero ha dichiarato di avere utilizzato, poi, un linguaggio “vivace” contro i suoi “avversari” dopo gi attacchi subiti via web: peccato che, come gli ha ricordato il moderatore, lui abbia scritto il suo libro prima di quegli attacchi… Lo stesso storico ha riconosciuto di non essersi recato presso l’Archivio di Stato di Napoli (prezioso, come dimostrano i ritrovamenti di diversi documenti relativi a decessi di soldati napoletani deportati, come ha sottolineato De Crecenzo) poiché si “era fidato delle ricerche di Gigi Di Fiore”: peccato che lo stesso Barbero, sempre nel suo libro abbia definito “inattendibili” o carenti le fonti di Di Fiore “su questi temi” (e anche sui caduti di Gaeta -circa 300 e non 69 come sostenuto da Barbero -come dimostrato anche da recentissime ricerche dei neoborbonici…). Alla domanda “dove eravate voi storici ufficiali mentre qualcuno usava i tricolori per fini igienico-personali o inventava miti inesistenti come quelli dei Celti o delle padanie o di Alberto da Giussano”, Barbero ha risposto che si trattava di “questioni politiche”: peccato che si trattasse anche di questioni storiche (e per giunta legate al mondo medioevale di cui barbero è stimato esperto) e che lo stesso Barbero nel suo libro e nelle frequenti interviste (intere paginate senza diritto di replica, privilegio mai riservato neanche ai Nobel), abbia più volte paventato il rischio di “balcanizzazioni” e secessioni con la Lega al Nord e i neoborbonici al Sud (peccato ancora che i neoborbonici non si siano mai candidati da nessuna parte da 151 anni mentre la Lega era ed è -anche nel suo Piemonte- al governo. Alla domanda “come mai vi indignate ora di fronte ad una lapide apposta con una colletta dai coraggiosi volontari (degli amici dei comitati delle Due Sicilie) e non vi siete indignati mentre per un secolo e mezzo venivano apposte lapidi cariche di bugie o addirittura celebrative dei generali massacratori dei meridionali o mentre si sperperavano negli scandali i soldi pubblici in Italia (e a Torino) per le celebrazioni dei 150 anni”, il prof. Barbero non ha risposto in sala ma con un’intervista a Storia in Rete (nov-dic. 2012) in cui ha dichiarato che le “semplificazioni” degli storici ufficiali erano e sono a fin di bene, per fini superiori e unificanti” senza informarci, però, dell’esistenza o meno di un apposito ufficio abilitato al rilascio di patenti da storico o di certificazioni di “superiorità di fini” e senza pensare che la retorica risorgimentalista ha avuto come conseguenza proprio la ricerca e il successo dilagante dei neoborbonici o dei revisionisti… Nessuna risposta all’amarezza manifestata da De Crescenzo di fronte alle risate (forse nervose) del prof. Barbero anche durante la lettura di testimonianze drammatiche. Nessuna risposta alle tesi esposte da De Crescenzo in merito alla parola genocidio coniata da Lemkin e collegabile ad “atti finalizzati all’eliminazione delle istituzioni, dei sentimenti nazionali e finanche delle vite di gruppi nazionali” e drammaticamente applicabile agli atti compiuti dai Savoia contro i soldati e le popolazioni delle Due Sicilie. Coerente, allora, per De Crescenzo, l’uso contestato da Barbero del termine “campo di concentramento” per campi come quelli di S. Maurizio (fino a 12.000 “ospiti”: altro che i canti e i balli serali citati nel libro e tragicamente anticipatori delle orchestrine allestite dai prigionieri nei lager nazisti). A proposito del razzismo diffuso in numerose citazioni, evidenziato l’errore grave di interpretazione storica di Barbero per il quale “i soldati sarebbero stati fedeli al Re e non alla nazione (un valore posticcio)”: peccato, com’è stato sottolineato, che Re e nazione coincidessero a Napoli e al Sud da oltre 7 secoli… Evidenziato anche il “distacco” dell’autore verso “quei poveracci morti negli ospedali e forse inopportunamente ricordati come i nostri caduti” (ma Barbero, stranamente, non ricordava di aver usato quell’espressione nel suo libro… a p. 267!).
Diverse le lacune archivistiche denunciate ancora da De Crescenzo: la differenza di cifre riportate dalle varie fonti, Fenestrelle compresa (e si tratta di persone e non di numeri), l’assenza di dati sulle migliaia di deportati nelle isole (Sardegna in testa), l’assenza di notizie (riportate in una piccola nota!) sulle vergognose trattative sabaude per deportare i meridionali in Patagonia e in altri posti desolati nel resto del mondo, l’impossibilità di trovare riscontri archivistici per atti magari anche illegali, l’incoerenza razionalmente inaccettabile tra i comportamenti degli stessi ufficiali, generali o ministri razzisti e violenti al Sud, caritatevoli e umani al Nord contro le stesse “carogne luride e puzzolenti” (i nostri soldati).
Superficialmente affrontato anche il tema della questione meridionale che per Barbero non sarebbe nata dopo il 1860 (“E quando? Basterebbe dare solo un occhio alle nuove ricerche su redditi, pil, finanze e livelli di industrializzazione per capire) e neanche per colpa di Garibaldi e garibaldini di cui “il 50% erano meridionali”(e De Crescenzo ha citato il ruolo ormai riconosciuto della mafia e fonti ufficiali come i testi di Scirocco o dello stesso Archivio di Torino che negano completamente quelle cifre attestando che i meridionali erano in camicia rossa in percentuali minime).
Di fronte alle copie di documenti distribuite in sala dai neoborbonici, Barbero evidenziava l’altra (debole) tesi centrale del libro: gli atti di morte di quei soldati (“centinaia ritrovati dagli infaticabili ricercatori del Movimento Neoborbonico tra Napoli e Torino” e “sfuggiti” alle ricerche di Barbero) sono successivi al 17/3/1861 (proclamazione del Regno d’Italia) e quindi si trattava di soldati “italiani”, tralasciando il fatto che, comunque li si definisse (italiani, napoletani, prigionieri, sbandati, renitenti, disertori o briganti), erano cittadini delle Due Sicilie che in ogni modo e a qualsiasi costo avevano dimostrato di voler restare tali.
Dato oggettivo presentato da De Crescenzo: non risultano negli archivi meridionali rientri di quei famosi 60.000 ragazzi che nessuno aveva il diritto di deportare altrove e che meritano ogni rispetto anche come esempio di una dignità che il Sud, piaccia o no a Barbero, sta ritrovando se solo guardiamo al successo di pubblicazioni o manifestazioni “neoborboniche” o di serate come questa… Necessarie, allora, come evidenziava anche Patruno, altre ricerche aspettandosi magari ricostruzioni storiche inaspettate come quelle che hanno finalmente fatto luce su episodi tragici come quelli di Pontelandolfo e Casalduni (riconosciuti addirittura dalle istituzioni) o sui primati soprattutto economici del Sud preunitario (su tutti le ricerche della Banca d’Italia e dell’Università di Bruxelles).
Significativi anche l’intervento di Giuseppe Laterza (editore meridionale che, parafrasando il Barbero sconcertato dalla pubblicazione nazionale di “Terroni” di Pino Aprile, ha “incredibilmente pubblicato” il suo libro) sul futuro del Sud. In estrema sintesi: “basta nostalgie, basta lamentarsi, facciamo autocritica, rimbocchiamoci le maniche, esistono più Sud anche positivi, il Sud faccia da solo”) e la risposta di De Crescenzo: da 151 anni ascoltiamo queste stesse tesi e da 151 anni esistono due Italie in quanto a diritti e opportunità, per le colpe di classi dirigenti -dai docenti agli editori, dai politici agli intellettuali- interessate a tutelare i propri interessi e complici di un sistema nord-centrico: solo con classi dirigenti veramente e finalmente nuove (altro che “nostalgismi”) consapevoli e fiere, il Sud troverà il suo riscatto. Tesi condivisa anche da Patruno che ha evidenziato la necessità di pretendere e ottenere una “par condicio” politico-economica mai ottenuta prima (sintesi dei progetti civico-culturali dei “nemici” di Barbero: altro che “fini immondi”). Dello stesso tono gli interventi del pubblico sull’esigenza di chiarire che l’unificazione fu per il Sud un’invasione straniera e una colonizzazione e che da oltre 150 anni i meridionali subiscono il razzismo (lamentato da Barbero!) sulla loro pelle, sulla necessità di sintetizzare le tesi storiografiche, sulle difficoltà oggettive (dal costo del denaro ai trasporti) del Sud che fa da solo, si autoflagella e si rimbocca le maniche da sempre, sulla necessità di indignarsi magari anche per il (torinese) museo dedicato a Lombroso…(Felice Abbondante,Salvatore Lanza)