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La distruzione di “Stari Mostar” : cannonate sulla storia

Creato il 09 novembre 2013 da Maria Carla Canta @mcc43_

La distruzione di “Stari Mostar” : cannonate sulla storiaIl 9 novembre di venti anni fa l’esercito croato bosniaco distruggeva a cannonate il Ponte di Mostar, tesoro dell’architettura ottomana e uno dei simboli della Bosnia Erzegovina.

Che Dio ci salvi dall’eroismo serbo e dallacultura croata”

(Miroslav Krleža)

Lo Stari Most, costruito quasi cinque secoli fa, fu distrutto durante la guerra in Bosnia Erzegovina nel 1993. Le unità croate lo bombardarono per due giorni finché, il 9 novembre alle dieci e quindici di mattina, il ponte crollò nel fiume. La distruzione del Ponte Vecchio fu l’apice della drammatica guerra che i croati conducevano contro i propri fino-a-ieri amici, vicini e alleati: i musulmani bosniaci.

Un anno prima che cominciasse la guerra in Bosnia Erzegovina, l’Armata Popolare Jugoslava (JNA) aveva spostato parecchie unità a Mostar. Le avevo viste nel marzo 1991. C’erano già state sporadiche uccisioni, ma la gente scandalizzata e oltraggiata sussurrava di riservisti ubriachi che attraversavano il Ponte Vecchio su una jeep. Scuotevano la testa, increduli, come a dire che un tale comportamento da parte di persone che non rispettavano le cose sacre (per la gente il Ponte era, e lo è ancora, un’istituzione divina) non prometteva niente di buono.

Infatti, nel 1992, la JNA mise Mostar sotto assedio, bombardandola regolarmente e senza pietà. Già allora i cannoneggiamenti che ordinava il generale serbo Momčilo Perišić avevano danneggiato il vecchio ponte.

Nel primo anno di guerra i bosniaci e i croati combatterono insieme contro il nemico comune, i serbi. Ma quando nel 1993 con i “piani di pace” la comunità internazionale invece di sanzionare l’aggressione (serba), premiava l’occupazione, i croati si affrettarono a prendersi la “propria parte” della Bosnia Erzegovina (di questo, tra l’altro, scrive Luca Rastello nel suo bellissimo libro: “La guerra in casa”).

Il colpo mortale

Furono i croati a dare il colpo mortale al Ponte Vecchio.

I responsabili della distruzione, sei croato-bosniaci, che erano i massimi esponenti politici e militari della cosiddetta Comunità Croata di Herceg-Bosna (l’entità autoproclamata nel 1991 e disciolta nel 1994), sono stati giudicati dal Tribunale dell’Aia responsabili di una “impresa criminale congiunta” e condannati dai dieci ai venticinque anni di prigione. Tra di loro il generale croato Slobodan Praljak, penalizzato a venti anni, in quanto riconosciuto come principale responsabile della distruzione dello Stari Most. È stato lui a dichiarare che “quelle pietre” (il ponte) non avevano nessun valore.

Lo Stari Most nel 1998 (foto L. Zanoni)

Lo Stari Most nel 1998 (foto L. Zanoni)

La distruzione del Ponte Vecchio non fu un gesto casuale, né l’azione di un paio di soldati indisciplinati. Al contrario, era il risultato di una strategia pianificata dai politici croati e dai capi croato-bosniaci per rimuovere la popolazione musulmana. Nel verdetto contro i sei croati, il Tribunale dell’Aia sostiene che “la distruzione dello Stari Most rappresenta una violazione delle leggi e delle consuetudini di guerra… un atto cosciente da parte degli autori che miravano a distruggere l’identità culturale attraverso la distruzione materiale e l’avvilimento della popolazione”.

Nel 2004 il Ponte Vecchio fu ricostruito, seguendo il piano originale e con la pietra locale tenelija estratta nella cava di Mukoša, con la quale il ponte era stato eretto cinque secoli fa. Per la sua bellezza e unicità lo Stari Most è stato riconosciuto come patrimonio mondiale e messo sotto la protezione dell’UNESCO.

Il Vecchio (così lo chiamavano teneramente i mostarci, la gente di Mostar), per quasi cinque secoli, aveva unito le sponde est e ovest del fiume Neretva. Univa la gente, le religioni, etnie e mondi diversi. Con il tempo è diventato il simbolo principale della città, il punto di riferimento per i suoi cittadini, faceva parte della loro identità culturale, era l’espressione della cultura bosniaca.

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Estratto dall’articolo

Mostar: il Vecchio, venti anni dopo

di Azra Nuhefendić

nel sito dell’Organizzazione  OSSERVATORIO BALCANI CAUCASO


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