L’acqua è l’elemento primordiale. Senz’acqua – come diceva Talete – non siamo
niente. La Terra è solo un’isola in mezzo al Mare. Federica Pellegrini è a suo
agio nell’acqua, come noi sulla terra. Le piace tuffarsi, allungare le braccia,
immergere la testa e abbracciare l’acqua in un corpo a corpo che sa di amore e
dolore. È l’acqua che l’ha resa famosa, sfacciata e bella come la classica dea
che nasce dal “greco mar”. Non avevamo mai avuto una nuotatrice così brava e
così bella, così brava e così bella da essere definita semplicemente La Divina.
I suoi occhi, la sua bocca, le sue boccacce, le sue gambe, le sue spalle ben
presto si sono trasferite dalle piscine alle pagine dei giornali e dei
settimanali e dalla stampa alla televisione in comparsate nel ruolo della Bella
Campionessa.
Si capisce che dopo il buco nell’acqua dell’altra sera nei
400 metri stile libero abbia detto con sconforto: «Non posso fare tutto. Dopo i
Giochi mi fermerò e se il riposo mi piacesse…». Poi, come in Via col vento e
come nella vita e come a Pechino, ecco un altro giorno.
Batteria dei 200
metri stile libero. In postazione. Si sale il gradino, ci si concentra, gambe
curve, busto in avanti si attende lo sparo e via in acqua. Il tuffo, come sa
Tania Cagnotto, altra campionessa italiana che ha a che fare con l’acqua, è il
momento più importante: «Può sembrare strano, ma nei pochissimi istanti che
trascorrono fra il fischio e il tuffo – dice la Cagnotto – capita che ti passi
per la testa di tutto. Magari pensi a chi è rimasto a casa, oppure a qualcuno
che ti sta osservando dalla tribuna».
Chissà a cosa penserà la
Pellegrini. Spesso la vittoria e la sconfitta sono decise all’inizio. Ora la
Pellegrini ha una marcia in più. In corpo non ha solo la sua potenza, le sue
bracciate, il suo stile. Ha la rabbia. Lo sport, come il Dio di Manzoni, ti
atterra e ti suscita. Perdi ma ti puoi rialzare se lotti. Hai sempre un’altra
occasione. Ma le cose – le vittorie – vanno conquistate. Non arrivano perché sei
bella e brava, ma perché lotti con tutta te stessa per averle. Niente è scontato
o acquisito una volta per sempre. La dichiarazione subito dopo i 400 metri non è
elegantissima: «Ho dato tutto, più di così non potevo fare. Mi ero preparata
benissimo. Ma non posso essere contenta di essere stata battuta da Lotte Friis,
un’avversaria dalla quale non avevo mai perso né di voler vincere l’oro con quel
tempo». Invece, si può perdere anche con Lotte Friis se la Friis ha una ragione
in più dentro, se vuole battere La Divina. Non c’è sport senza lotta. E il primo
avversario da battere ha il nostro stesso volto.
Mi vengono alla mente le
parole di un’operetta di Seneca – De Providentia – che dicono che il dio non
vizia l’uomo buono, lo mette alla prova, lo tempra, lo predispone per sé. Così è
nelle vicende atletiche: la prova, la difficoltà, la sconfitta non vengono per
distruggere ma per costruire, non son fatte per far perdere ma per far vincere
chi ha lavorato per perfezionarsi. Le avversità altro non sono che esercizi: il
saggio esercita la sua coscienza morale, l’atleta esercita le sue abilità
fisiche. Ma né l’uno né l’altro possono far molto senza lo sforzo delle prove
avverse. Forse, Seneca è un po’ severo in questa frase che ora qui segue come
una bracciata da autentico nuotatore della vita: «Chi poi, purché sia un uomo e
abbia senso morale, non è desideroso di una giusta fatica e pronto a pericoli
per il dovere? Per quale persona attiva l’inattività non è un castigo?». Eppure,
è proprio in questa severità che sembriamo scorgere il senso delle nostre
giornate. Persino il senso delle parole di sconforto della Divina sconfitta.
Fermarsi un anno, forse fermarsi per sempre per una sconfitta? Tanto varrebbe
dire che non si è appreso granché dal nuoto.
Invece, il dovere impone di
buttarsi ancora in acqua. Di tuffarsi, perché lì nel primo dei quattro elementi
c’è la verità di un’esistenza messa alla prova. «Gli atleti, che si curano del
loro fisico, li vediamo combattere con tutti i più forti ed esigere dagli
allenatori che li impegnino con tutte le loro forze – Seneca pare che faccia
quelle cronache sportive che non siamo più abituati a sentire, annoiati come
siamo dalle statistiche e cavolate del genere – si fanno colpire e malmenare e,
se non trovano un loro pari, ne affrontano più d’uno alla volta. Infrollisce la
virtù senza avversario: la sua grandezza e il suo vigore si manifestano solo
quando essa mostra la sua capacità di sopportazione».
Tuttavia, non
tutto è nella sopportazione, ma nel suo stile o modo. “Sappi pure che lo stesso
devono fare gli uomini buoni – il filosofo parla al suo amico Lucilio, ma
Lucilio siamo noi, persino La Divina – non spaventarsi delle asprezze e
difficoltà e non lamentarsi del fato, prendere bene e volgere in bene ogni
avvenimento: importa non quello che sopporti, ma come lo sopporti”.
C’è
troppa televisione e troppo divismo negli sportivi di oggi. La Fede, come è
chiamata con il vezzo dell’abbreviazione del nome, è incerta sul che fare: in
vasca o in studio, in acqua o in foto. È diventata Divina prim’ancora di
esserlo, le aspettative sono più numerose delle vittorie. Ma anche a Londra come
a Pechino per combinare qualcosa di buono bisogna rituffarsi in acqua: è la
legge universale della vita. Giocando con le parole potremmo dire che La Divina
deve aver Fede nella Provvidenza: La Divina Provvidenza. Dopo aver fatto
naufragio nei 400 al mattino, ecco il record del mondo nei 200.
Stessa
scena a Londra, con il solo cambio dei tempi: tonfo nei 400 di sera, vittoria
nei 200 la mattina dopo. La voglia di farcela, il desiderio, quasi la necessità
di essere davanti agli altri è fondamentale per gareggiare. La vittoria non è un
atto dovuto. È un atto. Una conquista alata che vola via. E mentre scrivo non so
come andrà a finire nella semifinale, ma è un aspetto secondario. Qui conta per
davvero lo spirito olimpico che è citato per sport ma è il sale di ogni cosa
viva: l’importante è partecipare.
tratto da Liberalquotidiano.it del 31 luglio 2012