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La donna e il burattino – Romanzo spagnolo 8

Creato il 15 novembre 2012 da Marvigar4

la donna e il burattino

La donna e il burattino

Romanzo spagnolo

Traduzione dall’originale francese La Femme et le Pantin – Roman espagnol

di Marco Vignolo Gargini

8. DOVE IL LETTORE COMINCIA A COMPRENDERE CHI È IL FANTOCCIO DI QUESTA STORIA

Due mattine, due giorni e due notti interminabili vennero dopo. Ero felice, sofferente, inquieto. Ma credo che sui sentimenti contraddittori che m’agitavano contemporaneamente, la gioia, un gioia torbida e quasi dolorosa, dominava.

Posso dire che in quelle quarantotto ore, mi rappresentai cento volte “ciò che stava per accadere”, la scena, le parole e persino i silenzi. Mio malgrado, recitavo con il pensiero la parte imminente che m’attendeva. Io mi vedevo, e lei tra le mie braccia. E di quarto d’ora in quarto d’ora, l’identica scena ripassava, con tutti i suoi lunghi dettagli, nella mia immaginazione spossata.

L’ora venne. Camminavo nella via, non osando fermarmi sotto le sue finestre per paura di comprometterla, e comunque infastidito pensando che lei mi guardasse dietro i vetri e mi facesse aspettare in un’agitazione opprimente.

«Mateo !»

Mi chiamava finalmente.

Avevo quindici anni, signore, in quell’istante della mia vita. Dietro di me, venti anni d’amore svanivano come un solo sogno. Ebbi l’illusione assoluta che per la prima volta avrei incollato le mie labbra alle labbra d’una donna e sentivo un giovane corpo caldo piegarsi e pesare sul mio braccio.

Sollevandomi con un piede su un cippo e con l’altro sulle sbarre ricurve, entrai da lei come un innamorato teatrante e la strinsi.

Era in piedi appoggiata a me, s’abbandonava e s’irrigidiva insieme. Le nostre due teste unite dalla bocca pendevano insieme sulle spalle, alitando dalle narici e chiudendo gli occhi. Non compresi mai così bene, nella vertigine, nello smarrimento, nell’incoscienza in cui mi trovavo, tutto ciò che si esprime di vero parlando della “ebbrezza del bacio”. Non sapevo più chi fossimo niente di quanto era stato, né di ciò che ci sarebbe successo. Il presente era così intenso che l’avvenire e il passato sparivano in lui. Lei muoveva le labbra con le mie, ardeva tra le mie braccia, ed io sentivo il suo piccolo ventre, attraverso la gonna, pressarmi con una carezza impudica e fervente.

«Mi sento male», mormorò. «Ti supplico, aspetta… Mi sento cadere… Vieni nel patio con me, mi stenderò sulla stuoia fresca… Aspetta… Ti amo… ma sto per svenire.»

Mi diressi verso una porta.

«No, non quella. E la camera di mamma. Vieni di qua. Ti guiderò.»

Un quadrato di cielo nero stellato, dove si sfilacciavano delle nubi bluastre, dominava il patio bianco. Tutto un piano brillava, illuminato dalla luna, e il resto della corte riposava in un’ombra confidenziale.

Concha si stese all’orientale su una stola. Mi sedetti vicino a lei e mi prese la mano.

«Amico mio», mi disse, «m’amerete?»

«E me lo chiedi!»

«Per quanto tempo m’amerete?»

Io ho timore di queste domande che fanno tutte le donne, e alle quali si può rispondere solo con le peggiori banalità.

«E quando sarò meno bella, m’amerete ancora?… E quando sarò vecchia, vecchia decrepita, m’amerete ancora? Dimmelo, cuore mio. Quand’anche non fosse vero, ho bisogno che tu me lo dica e mi dia forza. Vedi, io t’ho promesso per stasera, ma non so affatto se ne avrò il coraggio… Non so nemmeno se tu lo meriti. Ah! Santa Madre di Dio! Se mi sbagliassi su di te, m sembra che tutta la mia vita ne sarebbe perduta. Non sono di quelle ragazze che vanno con Juan e con Miguel e da lì con Antonio. Dopo di te non amerò più altri, e se tu mi lasci sarò come morta.»

Si morse le labbra con un lamento oppresso, fissando gli occhi nel vuoto, ma il movimento della sua bocca finì in un sorriso.

«Sono cresciuta, in sei mesi. Già non posso più agganciarmi i corsetti dell’estate scorsa. Apri questo, vedrai come sono bella.»

Se glielo avessi domandato, di certo non me l’avrebbe permesso, poiché cominciavo a dubitare che quella notte di colloqui finisse mai in una notte d’amore: ma io non la toccavo più: lei si avvicinava.

Ahimè! i seni che misi a nudo aprendo quel corsetto rigonfio erano frutti della Terra promessa. Che ve ne siano di così belli, è ciò che non so affatto. E li stessi non li vidi mai più paragonabili alla loro forma di quella sera. I seni sono esseri viventi che hanno la loro infanzia e il loro declino. Credo fermamente d’averli visti nello splendore della loro perfezione.

Lei, nel frattempo, aveva estratto dai seni uno scapolare di panno nuovo e lo baciava con devozione, sorvegliando la mia emozione di sottecchi.

«Allora, vi piaccio?»

La ripresi tra le mie braccia.

«No, non adesso.»

«Che c’è ancora?»

«Non sono disposta, ecco tutto.»

E richiuse il corsetto.

Io soffrivo davvero. Ora la supplicavo quasi con rudezza, lottando contro le sue mani che ridiventavano protettrici. L’avrei amata e malmenata insieme. La sua ostinazione a sedurmi e respingermi, questa manovra che durava già da un anno e si ripeteva nell’istante supremo in cui ne attendevo lo scioglimento, arrivava ad esasperare la mia tenerezza più paziente.

«Mia piccina», le dissi, «tu mi prendi in giro, ma sta’ attenta che non mi stanchi.»

«È così? Ebbene, io non vi amerò nemmeno oggi, don Mateo. A domani.»

«Non tornerò più.»

«Tornerete domani.»

Furioso, mi rimisi il cappello e uscii, determinato a non rivederla più.

Mantenni la mia decisione fino all’ora in cui m’addormentai, ma il mio risveglio fu penoso.

E che giornata, me ne ricordo bene!

Malgrado il mio giuramento interiore, presi la strada per Siviglia. Ero attirato verso di lei da una invincibile potenza; credetti che la mia volontà avesse cessato d’essere; non potevo più decidere la direzione dei miei passi.

In tre ore di febbre e di lotta con me stesso, errai nella calle Amor de Dios, dietro la via dove abitava Concha, sempre sul punto di percorrere i venti passi che mi separavano da lei… Infine, ce la feci, partii quasi correndo nella campagna e non bussai alla finestra adorata, ma che misero trionfo!

Il giorno dopo, lei era da me.

«Poiché voi non avete voluto venire, sono io che vengo da voi», mi disse. «Direte ancora che non vi ama per niente?»

Signore, mi sarei gettato ai suoi piedi.

«Presto, mostratemi la vostra camera», aggiunse. «Non voglio che m’accusiate di indifferenza, oggi. Credete che non sia anch’io impaziente? Sareste ben sorpreso se sapeste ciò che penso.»

Ma quando fu entrata, si riprese:

«No, questa non va bene. Ci sono state troppe donne in quel brutto letto. Non è la camera adatta a una mozita Prendiamone un’altra, una camera per gli ospiti, che non sia di nessuno. Vi va?»

Era ancora un’ora d’attesa. Bisognava aprire le finestre, mettere le lenzuola, spazzare…

Alla fine, tutto fu pronto, e salimmo.

Dire che ero sicuro di riuscire questa volta, non l’oserei; ma, insomma, avevo delle speranze. A casa mia, sola, senza protezione contro il mio sentimento così noto a lei, mi sembrava improbabile che si fosse arrischiata prima d’aver messo in conto il sacrificio che pretendeva offrirmi…

Dacché fummo soli, si sfilò la mantilla, che ara appuntata con quattordici spille ai suoi capelli e al corsetto, poi, con estrema semplicità, si spogliò. Ammetto che, invece di aiutarla, ritardai piuttosto quel lungo lavoro, e che venti volte l’interruppi per posare le mie labbra sulle sue braccia nude, le spalle rotonde, i seni sodi, la nuca bruna. Guardavo il suo corpo apparire mano a mano, ai limiti della biancheria, e mi persuadevo che quella giovane pelle ribelle alla fine si sarebbe lasciata andare.

«Ebbene? ho mantenuto la mia promessa?» disse, stringendo la sua camicia alla vita, come per modellare il suo corpo sciolto. «Chiudete le persiane, fa una luce odiosa in questa camera.»

Obbedii, e nel frattempo si coricò silenziosamente nel letto profondo. La vedevo attraverso la zanzariera bianca come un’apparizione teatrale dietro un sipario di garza…

Che dirvi, signore? Avete indovinato che ancora stavolta fui ridicolo e beffato. Vi ho detto che questa ragazza era la peggiore delle donne e che le sue invenzioni crudeli passavano ogni limite; ma fin qui voi non la conoscete ancora. È solo ora che seguendo il mio racconto verrete a sapere, di scena in scena, chi è Concha Perez

Così, era venuta da me per abbandonarsi a me, diceva lei. Le sue parole d’amore e le sue assicurazioni, le avete intese. Fino all’ultimo momento, si finse una vergine innamorata che sta per conoscere la gioia, quasi da giovane sposa che si dà allo sposo; giovane sposa ben consapevole, lo ammetto, ma tuttavia commossa e grave.

Ebbene, vestendosi a casa sua, quella piccola miserabile s’era conciata con un paio di mutande, di una specie di tela da vela così rigida e forte, che le corna di toro non l’avrebbero spaccate, e che si serrava alla cintura e alle cosce con dei lacci tanto resistenti e complicati da essere inattaccabili. Ed ecco ciò che scoprii nel mezzo del mio ardore più folle, mentre la scellerata mi spiegava senza scomporsi:

«Sarei pazza finché Dio vorrà, ma non fin dove vorranno gli uomini!»»

Per un attimo dubitai se strangolarla, poi – veramente, ve lo confesso, non mi vergogno – il mio viso in lacrime ricadde tra le mie mani.

Quel che piangevo, signore, era la mia gioventù, di cui quella bambina mi stava dimostrando l’irreparabile cedimento. Tra i ventidue e i trentacinque anni, vi sono delle prepotenze che tutti gli uomini evitano. Non potevo credere che Concha m’avrebbe trattato così se avessi avuto dieci anni di meno. Quelle mutande, quella barriera tra l’amore e me, mi sembrava che da allora le avrei viste su tutte le donne, o che almeno avrebbero voluto averle prima d’avvicinarsi alla mia stretta.

«Vattene», le dissi. «Ho compreso.»

Ma lei s’allarmò all’improvviso e avviluppandomi a sua volta con le sue piccole braccia vigorose che respingevo a fatica, mi disse cercando la mia bocca:

«Cuore mio, tu dunque non saprai amare tutto ciò che ti dono di me stessa? Hai i miei seni, le mie labbra, le mie gambe ardenti, i miei capelli profumati, tutto il mio corpo nei tuoi abbracci e la mia lingua nei miei baci. Tutto questo allora non basta? Allora non è me che tu ami, ma solo ciò che ti rifiuto? Tutte le donne possono dartelo, perché lo domandi a me, a me che resisto? E perché mi sai vergine? Ve ne sono altre, anche a Siviglia. Te lo giuro. Mateo, ne conosco. ¡Alma mia! ¡sangre mia! amami come voglio essere amata, poco a poco, e abbi pazienza. Tu sai che sono tua, e che mi conservo solo per te. Che vuoi di più, cuore?»

Fu convenuto che ci saremmo visti da lei o da me, e che tutto sarebbe stato fatto secondo la sua volontà. In cambio d’una promessa da parte mia, acconsentì a non indossare più la sua orribile corazza di tela: ma fu tutto quello che ottenni da lei: e ancora la prima notte in cui non la portò affatto, mi sembrò che la mia tortura ne fosse addirittura inasprita.

Ecco quindi il grado di servitù a cui questa bambina m’aveva portato. (Sorvolo sulle perpetue richieste di soldi che interrompevano la sua conversazione e alle quali cedevo sempre – anche tralasciando questo, la natura dei nostri rapporti è d’un interesse particolare.) Avevo dunque ogni notte tra le mie braccia il corpo nudo d’una ragazza di quindici anni, senza dubbio educato dalle suore, ma d’una condizione e d’una qualità d’anima che escludevano ogni idea di virtù corporale – e quella ragazza, d’altronde così ardente e appassionata quanto si può augurarsi, si comportava nei miei confronti come se la natura stessa l’avesse impedita di appagare per sempre le sue bramosie.

Scuse plausibili per una simile commedia non erano date, nessuna esisteva. Ne indovinerete voi stesso le ragioni in seguito. E io, sopportavo che mi si raggirasse così.

Poiché, non ingannatevi, giovane francese, lettore di romanzi e forse attore d’intrighi particolari con le semi-verginità delle città termali, le nostre andaluse non hanno né il gusto, né l’intuizione per l’amore artificiale. Sono ammirevoli amanti, ma hanno dei sensi troppo acuti per sopportare senza frenesia i trilli d’un uccello da richiamo superfluo. Tra Concha e me, non successe niente, ma niente, capite che vuol dire “niente”?. E questo durò per due settimane intere.

Il quindicesimo giorno, siccome alla vigilia aveva ricevuto da me una somma di mille duros[1] per pagare i debiti di sua madre, trovai la casa vuota.



[1] Moneta d’argento del valore di cinque pesetas.



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