La donna serpente – Recensione

Da Femminileplurale

“The woman in you is the worry in me”

Medusa: monumento del patriarcato o suo necrologio

La donna serpente. Storie di un enigma dall’antichità al XXI secolo, prende le mosse dai miti, ovvero da quella riserva archetipa che Sallustio definisce “cose che non accadrebbero mai ma che esistono da sempre”.

Scopo di questo volume è indagare la figura di Medusa, in quanto archetipo e propotipo  dell’immaginario occidentale, in una sorta di «perlustrazione storico-educativa», che presta  particolare attenzione ai prodotti dell’educazione informale del passato.

L’autrice svolge la sua indagine attraverso i secoli, tornando indietro fino a quell’«Europa antica» – secondo la definizione di Maria Gimbutas – in cui le voci ancestrali femminili erano ancora forti, in cui il pantheon era popolato di divinità femminili propizie e in cui era ancora possibile sentir aleggiare lo spirito della Grande Madre.

Siamo nel 6000 a. C quando compare la figura della Gorgone, maschera che simboleggia la forza del terrore e lo slancio della rigenerazione, connubio tipicamente femminile e legato alla ciclicità della vita naturale.

Dopo un’analisi della rappresentazione della donna e del suo positivo connubio con il serpente all’interno della civiltà minoica, la civiltà non patriarcale a noi più cronologicamente vicina, l’autrice ci conduce attraverso i meandri di un immaginario occidentale in formazione,  greco-romano in primis, in cui la figura della Gorgone assume il significato spaventevole e negativo che ben conosciamo.

Simbolo della mostruosità al femminile, la Gorgone assurge a simbolo dell’alterità assoluta e irriducibile, la rappresentazione medusea e la rappresentazione delle donne si influenzano reciprocamente in un continuo e circolare scambio semantico, supportato dal mito, dalla filosofia e dal sapere medico.

«Così i discorsi e immagini insegnarono ad anteporre i propri bisogni ai sentimenti altrui e a moltiplicare i nodi di separazione sociale fra i sessi con una barriera emotiva invalicabile che rafforzava l’orgoglio del maschile e la vergogna del femminile. Un atteggiamento che si è esplicitato nella conveniente e grossolana idea di rappresentare la donna come una specie a parte, un non-essere così poco distante dal regno animale da poterlo convertire, secondo necessità, in qualcosa di bestiale […] di alieno, un quid da eliminare».

Il mito e con lui la concezione negativa del femminile permangono durante il Medioevo, epoca in cui si precisano sia il collegamento tra la donna e il serpente, alleati nel compimento del peccato originario, sia tra il sangue mestruale e lo sguardo, in cui si esprimono le innumerevoli possibilità femminili di azione.

Sempre nella ricchissima parte dedicata al Medioeveo, l’autrice ci fa compiere un itinerario attraverso i topoi rappresentativi femminili nella loro connessione essenziale con il serpente: le leggende della fata Melusina, della pulzella velenosa e le figure della donna mestruata e di quella in menopausa  divengono prove (o cause?) del processo di infraumanizzazione e di conseguente inferiorizzazione delle donne.

Alla fine del Medioevo e significativamente agli albori della “scientifica” età moderna la totale identificazione della donna con il male è compiuta:  il serpente tentatore  viene rappresentato con fattezze femminili ed emerge e si sviluppa il mito della strega.

Una visione ben misogina a cui si affianca, non senza iniziale stupore, il tema dell’amor cortese, nato in Francia nel XII, che pur sancendo una nuova relazione di intimità tra i generi, non modifica le opinioni misogine se non in senso rafforzatore.

Infine,  Giallongo presenta tre figure di donne vissute nel Medioevo che si oppongono in modi diversi alla visione antropologica, filosofica e medica misogina e patriarcale: Ildegarda di Bingen, Trotula, Christine de Pizan. Aria fresca rispetto al fetido e limitato immaginario maschile sulle donne, che sembra tanto – chiosando le parole dell’autrice sulla stregoneria – una gigantesca e patologica costruzione mentale.

L’ultima parte di questo illuminante excursus si occupa di analizzare la percezione della figura di Medusa e il mito della sua alterità nell’era post-moderna, mostrando da un lato (maschile) come l’immaginario relativo a Medusa, al serpentino e al femminile generi il modello seduttivo della femme fatale, dall’altro (femminile) come la rappresentazione in chiave positiva e “autodeterminata” di Medusa diventi  simbolo dell’ibrido (o del cyborg) nelle correnti post-femministe degli anni ’90.

In questo volume scopriamo retrospettivamente attraverso l’invenzione della donna serpente le preoccupazioni sociali del passato: «i più bui recessi della sfera emotiva e sociale e personale sono scossi e impressionati dall’idea che il patriarcato non sia indspensabile». Non solo l’interesse per un passato che non c’è più, ma indirettamente una indicazione forte di metodo per un percorso femminista che riconosca necessario «sovvertire non solo le categorie logiche della cultura ma anche quelle immaginative, per il loro sostanzioso supporto al dominio di genere».

Angela Giallongo, La donna serpente. Storie di un enigma dall’antichità al XXI secolo, Edizioni Dedalo, Bari 2012  (€ 22)

Di seguito una bellissima canzone che mostra come i contenuti del paradigma meduseo e in particolare il timore maschile del femminile nella sua connessione con la malvagità/diabolicità siano ancora parte dell’immaginario (conscio o inconscio che sia) occidentale contemporaneo.


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