“Per una rivoluzione bisognerà andare a lezione da donne sapienti,
tipe ben poco umane e ben poco adatte alla polis.“
A. Buttarelli, Sovrane, p. 148.
A partire da Sovrane di Annarosa Buttarelli
In Sovrane, ultimo libro di Annarosa Buttarelli, il pensiero della differenza si mostra innanzitutto come affermazione di un pensare differentemente.La ‘differenza’, che ha come oggetto il pensiero, agisce sotto molti aspetti. È una differenza di forma, di sostanza, di metodo. Questo significa che ciò che viene messo in discussione, in primis, è l’atto stesso del pensare. Non si tratta cioè semplicemente di produrre nuove prospettive, di spostare lo sguardo, ma, in un certo senso, di mostrare come l’attività del pensiero, attività di comprensione della realtà, non possa distanziarsi dal suo oggetto, come vorrebbe una certa tradizione, ma debba continuamente rimanervi immerso. Il sapere è innanzitutto sapere dell’esperienza e quindi fenomenologia. Questo ‘pensare’ non si esplicita mai in vuote astrazioni o nell’esercizio fine a se stesso di presunte capacità intellettuali.
Ciò produce una forma di razionalità che, sostiene Buttarelli, “ha la sua origine nelle viscere, cioè nel sentire”.
Ciò significa mettere da un lato radicalmente in discussione l’assunto cartesiano di una separatezza tra pensiero e realtà, laddove il vero pensiero è quello che si comprende come parte di essa, e che si colloca all’interno della rete di relazioni che la compongono. Che non si separa da essa, ma l’esatto contrario: riesce a cogliersi come parte della struttura in cui è immerso. Tra i tanti riferimenti qui vale soprattutto quello fatto al pensiero di Anna Maria Ortese, laddove per ella la ragione è “la conoscenza o anche la ‘visione’ del vivere, del complesso di ‘leggi’ non visibili ma riconoscibili che rendono possibile la vita” (A. M. Ortese, Corpo celeste, p. 138).
Ciò che segna il passaggio tra la riflessione sulla realtà come tale per poi riversarsi sul suo senso politico è il concetto di ‘relazione’.
Anna Maria Ortese
Se dobbiamo ammettere, seguendo questo modo del ‘pensare’ che la realtà in cui siamo immersi si sostiene nel saper cogliere come ciò che è ‘originario’ sia la struttura delle relazioni che ci legano al mondo, in una prospettiva che viene definita come ‘cosmologica’, anche la politica, per produrre il suo ordine, deve muovere, in sintonia con il cosmo, dal concetto di ‘relazione’.
Per comprendere come ciò produca un’autentica rivoluzione di pensiero, occorre prendere come spunto quelli che sono alcuni capisaldi della tradizione del pensiero maschile. Esso si sostanzia come pensiero astratto che, anziché rimanere ancorato al piano del reale, avanza per ‘rimozione della realtà’. Capace in questo procedere che scarta di pensare oggetti singoli scissi dal reale, astrazioni perciò vuote, prodotti di realtà inesistenti, oggetti semplicemente mentali. Il pensiero politico si mostra in questo l’esempio perfetto: a partire dalla finzione della democrazia ateniese fino alla sua (per)versione moderna passata sotto il nome di ‘contratto sociale’, ciò che vi è di reale è il non-detto, il rimosso, l’escluso, il non-pensato. Dove sono le donne nella cosiddetta democrazia ateniese? Quale il loro spazio nella logica del contratto sociale? Confinate nella sfera privata, sono invisibili a qualunque riflessione che muova dall’ esistenza di un presunto spazio politico, quello pubblico. Peccato che questo non sia altro che un’astrazione, un’invenzione, perché la vita, quella vera, non si scinde in spazi separati. Esiste un’unica sfera politica, quella della vita e dell’esperienza. E la cosiddetta sfera privata, della vita quotidiana, è quindi l’unica sfera possibile, sfera quindi autenticamente politica (se ne stanno accorgendo anche alcuni uomini. Penso ad esempio all’ultimo libro in cui lo storico Paul Ginsborg rilegge la storia del Novecento a partire dalla prospettiva della vita familiare, sfera privata quindi che si mostra come protagonista dei processi storici e non esclusa da questi. Anzi, partire da questa prospettiva, permette di gettare una nuova luce su quanto accaduto).
Se c’è una tradizione maschile del pensiero, è anche vero che sussistono all’interno di essa posizioni divergenti, ma mai posizioni ‘nuove’. Essa cioè produce pensieri che si oppongono, ma che non vanno al di là della dicotomia che si produce all’interno degli stessi schemi di pensiero, dello stesso linguaggio, degli stessi presupposti. Si potrebbe dire, seguendo il linguaggio utilizzato da Kuhn, che esiste un paradigma di pensiero propriamente maschile. In questo senso, pur essendoci teorie che si contrappongono, lo fanno tutte a partire da quello che potremmo definire un terreno comune. Ecco che le varie teorie sulla politica si originano come a partire da una sintesi comune, per poi scindersi in tesi e antitesi. Giustamente, osserva Buttarelli, gli stessi movimenti antagonisti sono ancora “rinserrati nell’esclusiva sequela della forma mentis maschile” (Sovrane, p. 39). Non si esce mai dal terreno comune ed è perciò che non si produce mai un vero cambiamento. La sensazione claustrofobica che accompagna questa ‘crisi’, viene proprio da qui.
Maria Zambrano
Apriamo quindi le porte, sembra dire Buttarelli, a qualcosa di ‘differente’, ad una ‘”forma di realismo a radice femminile” (Sovrane, p. 160). Pensiamo quindi alla politica non più muovendo dalla presunzione dell’esistenza di un individuo neutro ed isolato da cui scaturirebbe poi, per via logica, l’esistenza della comunità politica. Partiamo dalle relazioni. È da esse, e non dalla violenza, che può prodursi l’ordine. E nella misura in cui la violenza non è più il primo e l’originario, essa di certo non sparisce, ma perde di intensità e di potenza distruttiva. Non essendo cioè più l’origine essa perde di illimitatezza.
A differenza della visione che muove dalla finzione dell’individuo isolato, astrazione dalla realtà, la relazione radica il pensiero nell’ esperienza, lo tiene ancorato al luogo in cui “germina ogni passione, ogni patimento, ogni gioia, ogni realistica speranza, ogni sapienza materiale”. E’ su questo piano che nasce la politica e non su quello del puro pensiero astratto capace di originare solo potere e dominio.
Una politica che si fonda sulle relazioni tra persone, tra le persone e il mondo, produce una trasformazione importante per ciò che pertiene all’idea di libertà. La libertà era prima intesa come l’assenza di impedimenti esterni, vedendo ciò che è esterno come un limite ad essa. Al contrario, partendo dalla relazione, la libertà si fonda sull’esistenza di ciò che è esterno al singolo e che trova in esso non un limite ma al contrario, il suo possibile sviluppo.
L’ordine che ha al suo centro la relazione non è un ordine prodotto da una forma politica a struttura gerarchica ed ha la sua sintesi nel concetto, tanto travisato dalla tradizione maschile, di Anarché. Anarché non significa ‘disobbedienza’ ai princìpi o alle leggi, ma un porsi al di sopra di essi. Esso serve quindi ad individuare quel piano in cui l’ordine non è prodotto dall’uno ma dalla relazione. Essa è il vero principio ordinatore. In questa prospettiva ciò che orienta l’ agire non è la legge prodotta di volta in volta da questo o quel potere, ma è ciò che esiste da sempre, “la vita con le sue leggi e la sua trascendenza, le relazioni di cui abbiamo bisogno per vivere e la condizione umana calata in un cosmo che impone spesso il suo ordine” (Sovrane, p. 42).
C’è tutta una parte, nel libro di Annarosa Buttarelli, che analizza l’attuale crisi economica e che merita di una riflessione a parte. Ne parlerò quindi, a breve, in un nuovo post.