Ettore Tito, Luglio
Te le ricordi ancora le estati che erano tutte un lungo spostarsi, un percorso in salita, un trasportare pesi fisici e metaforici, lievi e graditi, o faticosi e difficili?.
Passati i giorni delle feste e della musica sulla spiaggia di notte, delle corse in moto e delle lunghe nuotate alntramonto, imgiorni dell'estate tutta tua, vennero, quasi all'improvviso, i giorni dell'estate di qualcunaltro. Vennero le estati di cui ricordi soprattutto quello spingere i passeggini per le salite al ritorno dalla piccola baia, bimbi recalcitranti o bizzosi per la stanchezza, che piangono perché non sanno nemmeno loro, piangono senza lacrime, piangono di sole che arrossa le ganciotte piene, piangono di voglia di ombra, di gelato e di sonno.
I giorni di stanchezza e dolcezza, di pisolini sudaticci, di ricerca infinita di pinoli, di manine sporche che ne arraffano all'infinito ("Ora basta mangiarli, bambini, sennò poi di inverno non ne abbiamo più". "Cos'è l'inverno, mamma?").
Il tempo in cui la meta delle vacanze si sceglieva per loro, in base alla spiaggia più grande, il parco-giochi più bello, la gelateria più buona. E poi gli amici, da ritrovare anno dopo anno; la vita parallela da costruire, mare e casa, estate e resto dell'anno.Ombrelloni e sacchi pieni di giochi, palette, secchielli e formine, biglie da perdere nella sabbia, biglie da ricomprare ogni anno. Insegnare a camminare, insegnare a nuotare, insegnare ad andare in bicicletta. E i pranzi sulla spiaggia, i cesti colmi di panini e pizza e frutta. Le cene per cercare il fresco, amici sempre tanti amici, cugini vecchi e nuovi, riempire le notti di compagnia, di giochi, di avventure, rinventando anche per i nuovi bambini le fiabe e i sogni di noi bambini di un tempo.
Ma forse la domanda giusta è un'altra: non "te le ricordi ancora, quelle estati?", ma piuttosto: "ti sei accorta che sono finite?