da Left
La “bella politica” di Sinistra e libertà? Poca poesia e molto commercio. «Per valorizzare il nostro ruolo all’interno della coalizione il candidato sindaco ha garantito un coinvolgimento di Sel nel futuro assetto delle società partecipate», sostengono i dirigenti vendoliani. Traduzione: voti ai candidati Pd in cambio di posti di sottogoverno. Accade a Torino, dove il partito di Nichi Vendola appoggia Piero Fassino, l’uomo che “se fosse stato operaio” a Mirafiori avrebbe votato per Marchionne. Qualcosa del genere succede anche a Napoli, dove Sel ha spaccato il partito pur di non appoggiare Luigi De Magistris, con la sua posizione di rottura col potere bassoliniano; e ancora a Reggio, dove la forza politica nata per farla finita coi partiti del ’900 appoggia un ex esponente dell’Mpa del governatore siciliano indagato per mafia Raffaele Lombardo. A Cosenza, dove i voti della sinistra andranno al presidente dell’associazione imprenditoriale della sanità privata, quello che rappresenta, per intenderci, gli Angelucci e i Don Verzè. O a Salerno, dove Sel sostiene Vincenzo De Luca. Uno che oltre a un processo per truffa e falso, era solito rivolgersi con questo tono ai migranti: «Io smonto i campi dei rom e me ne frego di dove quella gente va a finire. Io li prendo a calci nei denti». La politica che fa della diversità una ricchezza? Se ne parla nelle Fabbriche di Nichi, nelle convention che acclamano il candidato destinato a cambiare la sinistra e magari anche il mondo. Ma visto da vicino il partito di Vendola è molto più dozzinale. Notabilati locali, fatti da maestri della contrattazione politica. E tanti patti sottobanco. Specialmente, accordi a ogni costo col Pd. Anche coi suoi esponenti più lontani dalla sinistra. La linea, calata dall’alto, è stata pedissequamente seguita in periferia. Anche a costo di spaccare il partito e l’elettorato. A Napoli i giovani di Sel, esponenti dei movimenti, ambientalisti, precari, hanno scelto De Magistris, rompendo col partito di Vendola. Così Sel rischia una batosta memorabile in Campania.
A sentire le voci di corridoio Luigi De Magistris s’è giocato l’appoggio di Sel ancor prima di candidarsi. Quando, nel giugno del 2010, in un dibattito pubblico con Vendola, l’ex magistrato pensa bene di mettere il dito nella piaga: «Bagnoli è una pagina vergognosa di commistione tra politica e crimine intorno al denaro pubblico», secondo il pm di “Why Not” e “Poseidone”. Apriti cielo. Il giorno dopo le agenzie vengono inondate da smentite. Il presidente di Bagnolifutura, la società che dovrebbe garantire il recupero dell’ex zona industriale ubicata su una della più belle coste di Napoli, annuncia una querela. Ma anche Peppe De Cristofaro, coordinatore di Sel e componente del cda dell’Arin, l’azienda che gestisce la rete idrica partenopea, prende subito carta e penna: «Crediamo che le dichiarazioni di De Magistris su Bagnoli siano sbagliate, gli consigliamo di approfondire quanto è avvenuto in questi anni». A quell’incontro Vendola definisce De Magistris «una risorsa per la sinistra». Ma nei rapporti coi dirigenti locali la strada per l’ex pm è ormai sbarrata.
Quando, dopo le primarie caratterizzate dalle accuse di brogli sul candidato bassoliniano Cozzolino, l’ex pm annuncia la sua candidatura, Sel è glaciale. Il partito indice un referendum tra gli iscritti per scegliere chi sostenere: su 2.300 tesserati votano in meno di 600. Vince la linea sostenuta da Gennaro Migliore (tra i più fidati uomini di Vendola), Arturo Scotto (ex Sinistra democratica) e Riccardo Di Palma (ex presidente della Provincia, Verde): il partito appoggerà il prefetto Mario Morcone, sconosciuto candidato del Pd. Una parte di Sel non ci sta. «Per chi come me aveva votato contro Morcone, nel partito non c’è stata più agibilità. Così io e altri compagni abbiamo deciso di candidarci con De Magistris, anche se per ora manteniamo la tessera di Sel», spiega Arnaldo Maurino, componente della direzione campana del partito. Maurino, 32 anni, è uno dei leader del movimento giovanile napoletano. Uno della generazione di Genova. «Il bassolinismo a Napoli è finito ma Sel non se n’è accorta. Ha preferito non rompere i rapporti con una classe dirigente locale che ha visto la politica solo come gestione dell’esistente, mai come trasformazione. Noi volevamo una forza che rompesse gli schemi del ’900 e ci siamo trovati imbrigliati in un’organizzazione che ha tutte le caratteristiche più negative dei partiti. A Napoli Vendola ha fatto un grave errore», attacca Maurino. Il suo non è un caso isolato. Con De Magistris si sono schierati pezzi importanti del potenziale elettorato di Sel: i centri sociali, convinti, come dice Antonio Musella di Insurgenzia «che la candidatura di Luigi è un’opportunità, forse unica per far diventare le lotte sociali una pratica di buon governo». Con l’ex pm si è schierato anche l’economista Riccardo Realfonzo, docente universitario, ex assessore al bilancio della Iervolino. Nominato in qualità di tecnico su indicazione di Sel, Realfonzo si dimise dopo pochi mesi, denunciando come alcune pratiche di cattiva politica a palazzo San Giacomo fossero più dure del granito: «Non comprendo la scelta di Sel. In tante battaglie il partito era stato a mio fianco. Temo che siano prevalsi i legami profondi intessuti in questi anni, in cui dirigenti del partito hanno sempre sostenuto Bassolino prima e Iervolino poi. Le scelte elettorali di Sel sono in contraddizione con la sua linea politica. Da qui la gravissima frattura tra dirigenti e base». Sullo sfondo la questione di Bagnoli. Zona che, da anni, attende una vera riqualificazione ambientale. Mai avvenuta, secondo il pm Stefano Buda, che sulla vicenda ha aperto un’inchiesta ancora secretata ma che rischia di far saltare il tappo. Sui giornali si parla già di «bonifica farsa». La messa in sicurezza della zona, costata montagne di denaro, pare non abbia dato alcun risultato. Perché la colmata, una terrazza sul mare fatta di detriti tossici dell’ex Italsider, sta ancora lì, a versare in mare idrocarburi policiclici aromatici, altamente cancerogeni. Una bomba ecologica. Eppure Bagnolifutura ha annunciato, dopo una variante al piano urbanistico votata in extremis dalla Iervolino, di aver aumentato i metri cubi destinati a nuove case: 600 in più, rispetto alle 1.200 previste. Sulla questione De Magistris ha deciso di entrare a gamba tesa, com’è suo stile, denunciando sprechi, affari, interessi privati. Il Pd ha risposto col cartellino rosso. E Sel ha scelto da che parte stare. Quella sbagliata.
«Quando ho sentito quelle dichiarazioni di Fassino, non sai la bile…». Nei giorni convulsi di Mirafiori, quando gli operai dovevano scegliere se votare sì o no all’accordo diktat imposto da Sergio Marchionne, Mina Leone era in prima fila, con la Fiom, a organizzare il comitato per il no. E Piero Fassino, candidato del centrosinistra per succedere a Sergio Chiamparino, decise di schierarsi: «Se fossi stato un operaio avrei votato sì», afferma l’ultimo segretario dei Ds. Ora Mina Leone, 47 anni, operaia delle Carrozzerie dal 1988, è l’unica tuta blu candidata nelle liste che appoggiano Fassino, con Sinistra e libertà. «È vero, la politica ci ha abbandonato. Il Pd non solo non è venuto ai cancelli ma ci si è messo contro». Inizialmente Sel non appoggia Fassino alle primarie, sperando in una discesa in campo di Giorgio Airaudo, lo storico segretario della Fiom torinese. Ma saltata la candidatura forte, Sel rinuncia a presentare un suo esponente e lascia libertà di voto. Sapendo che ormai Fassino era imbattibile. «Alle primarie ho votato un altro candidato, certo non Fassino. Però ora non posso far altro che contrastare la destra, turandomi il naso», spiega l’operaia. Dietro l’appoggio di Sel a Fassino c’è però dell’altro: i posti di sottogoverno nelle municipalizzate, come i quattro esponenti del comitato che gestisce il partito a Torino (Carutti, Disalvo, Lavagno e Robotti) ammettono senza peli sulla lingua: nelle candidature alla municipalità Sel mantiene solo una presidenza, quella della circoscrizione 10. In cambio ottiene posti nei cda delle società dei servizi pubblici. Sulle quali Fassino, dicono le voci, è pronto a rimettere in campo una proposta a suo tempo avanzata da Chiamparino: la cessione della quota di maggioranza della Amiat (rifiuti) e Smat (acqua) finora interamente pubbliche, per ripianare il mega debito, 3miliardi di euro, del Comune. Sel, a livello nazionale, sostiene invece il referendum sull’acqua pubblica che si svolgerà il 12 e 13 giugno, dopo le amministrative. A contrastare Fassino a Torino restano solo Prc e Sinistra critica, con un loro candidato di bandiera.
In Calabria, col Pd commissariato, le alleanze si costruiscono con la fantasia. A Reggio, poi, tutto è possibile, ogni accordo immaginabile. E anche Sel si è dimostrata capace di disegnare trame politiche complicatissime. In riva allo Stretto si vota sia per il rinnovo del Consiglio comunale e provinciale. E con abilità, i vendoliani si sono mossi sui due tavoli.
Nel feudo del governatore Giuseppe Scopelliti la sinistra si sente vinta in partenza. Meglio dunque dichiarare subito la resa. Per la poltrona di primo cittadino Vendola sostiene Aldo De Caridi, dell’Idv Un uomo che viene da lontano, con trascorsi nel Movimento per autonomie di Raffaele Lombardo, all’epoca in cui l’Mpa correva insieme alla Destra di Storace per le europee. Da qualche tempo è salito sull’autobus del partito di Di Pietro. Sel ha optato per lui, chiudendo la porta in faccia a Massimo Canale, ex Pdci, adesso candidato da Rifondazione e Pd, il rappresentante “naturale” di una coalizione di sinistra. Ma nulla si fa per niente. In cambio del sostegno a De Caridi, Giovanni Nucera, coordinatore provinciale di Sel, è riuscito a imporre la sua candidatura alla presidenza del Consiglio provinciale. Ovviamente nessuno dei due ha alcuna possibilità di vincere, anzi, sarà già complicato superare lo sbarramento al 4 per cento. Bene che vada, i due partiti avranno un consigliere in Comune e uno alla Provincia. Ma poteva andare anche peggio. Negli ambienti della politica reggina è nota la disinvoltura che Sel ha mostrato nella preparazione di queste amministrative. Secondo fonti interne al partito di Vendola, che preferiscono rimanere nell’anonimato, prima dell’alleanza con l’Idv Sinistra e libertà aveva già chiuso un accordo addirittura con Pietro Fuda, esponente del Terzo polo. Un politico navigato con esperienze sia a destra che a sinistra. Presidente della Provincia di Reggio per Forza Italia dal 2002 al 2005, senatore durante il secondo governo Prodi nelle liste del Partito democratico meridionale. Il suo nome sale agli onori delle cronache nazionali nel 2006, quando figura come primo firmatario di un emendamento alla finanziaria, ribattezzato “comma Fuda”, che avrebbe ridotto i termini di prescrizione dei reati contabili. Sel, in accordo con alcuni fuoriusciti dal Partito democratico, avrebbe dovuto sostenere la candidatura di Fuda in cambio di un assessorato. Regista dell’operazione sarebbe stato Ferdinando Aiello, coordinatore regionale del partito. Un altro personaggio che in passato ha avuto i suoi 15 minuti di notorietà: nei primi anni Duemila finisce nello scandalo del “concorsone”, risultando tra i vincitori di un bando pubblico truccato riservato a funzionari di partito. Intervistato da Riccardo Iacona per “Presa diretta”, Aiello dichiara di aver pagato con «mesi di depressione totale» quell’errore. Evidentemente il lupo perde il pelo ma non il vizio, visto che il coordinatore regionale era pronto a sbagliare ancora. Per stroncare l’operazione “Terzo polo” sarebbe stato necessario l’intervento di un dirigente nazionale, giunto in Calabria per convincere i reggini a desistere. Ma la dirigenza in cambio ha preteso di avere mano libera nell’alleanza con l’Idv sia al Comune che alla Provincia. A Cosenza Sei ha deciso sostenere come sindaco il re della sanità privata calabrese: Enzo Paolini. Avvocato, presidente dell’Aiop (Associazione italiana ospedalità privata), che rappresenta 496 strutture sanitarie operanti su tutto il territorio nazionale, Paolini è uno che qualche conflitto di interessi potrebbe averlo. Ma evidentemente Sel ha altre priorità. E a Cosenza, l’unica cosa che conta è stare dalla parte di chi comanda. E qui comanda una vecchia classe politica di estrazione socialista, erede di Giacomo Mancini. Il candidato Enzo Paolini rivendica sempre la sua appartenenza alla famiglia politica manciniana. Come fa anche Eva Catizone, già sindaco di Cosenza, oggi esponente di Sel, che da subito ha sposato la candidatura di Paolini. Stessa scelta era stata presa dal Pd locale, poi smentito dall’intervento diretto di Bersani, che ha imposto come candidato il sindaco uscente Salvatore Perugini. Sel è andata dritta per la sua strada. Nonostante in coalizione siano presenti anche esponenti di “Noi Sud”, costola fuoriuscita dall’Mpa in polemica con la scelta di Lombardo di allargare il governo siciliano al centrosinistra.
E poi, a Salerno, c’è Vincenzo De Luca. Lo sceriffo campano, l’imbattibile ex comunista che prende i voti dalla destra. Il leghista del Sud, che dopo aver fallito il salto alla presidenza della Regione, si candida nella sua città per il quarto mandato (con un intermezzo parlamentare). Sel lo appoggia, assieme al Pd, mentre Prc e Idv voteranno Rosa Masullo. Come mai l’Idv non sostiene l’iperlegalista De Luca? Perché lo sceriffo è molto ligio nel rispetto della legge quando si tratta di immigrati, senzatetto, prostitute, ma ha un’idea della legalità molto meno stringente se l’argomento è l’attività amministrativa. Specie la sua. Il sistema De Luca, secondo gli inquirenti, si basa sul rapporto con imprenditori a cui il sindaco salernitano ha garantito norme leggere e varianti urbanistiche. De Luca, è sotto processo per la vicenda della trasformazione della fabbrica Ideal Standard in un parco giochi (inchiesta “Sea park”) e sulla questione dell’Mcm, dove il sindaco è inquisito per falso insieme a Gianni Lettieri, candidato imprenditore del Pdl alle comunali di Napoli. A lui il sindaco avrebbe garantito la trasformazione di un’area da industriale a commerciale. Su De Luca non è stata molto gentile neppure la Corte dei conti: nel 2010 viene condannato a risarcire 23mila euro per consulenze assegnate a peso d’oro. De Luca non ha preso le inchieste che lo riguardano con molta sportività: «L’Italia è paralizzata per la paura della magistratura. E questa situazione va spezzata. Io sono perché la magistratura non mi rompa le scatole quando decido di fare una variante urbanistica nel Consiglio comunale. Berlusconi in campagna elettorale non si è mimetizzato, ha detto che i magistrati andavano ricoverati al manicomio. Ha vinto col 10 per cento di distacco avendo detto quelle cose prima, non dopo. Come si fa a non capire che il rapporto tra pubblica amministrazione e magistratura è diventato decisivo per non paralizzare l’Italia?». Berlusconi ci metterebbe una firma. Sel, purtroppo, ha già deciso di metterla.
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