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La falsa etica del brutto

Creato il 19 febbraio 2012 da Albertocapece

La falsa etica del bruttoAnna Lombroso per il Simplicissimus

Ci sono momenti eroici, grandi eventi nazionali nei quali il popolo sente la catartica soddisfazione di far parte di una identità collettiva e si riconosce in un pensiero comune. Che di solito, duole dirlo, è quello più bigotto e conformista. Bipartisan e ecumenico, tanto che allarga confini e geografia della zona grigia nel quieto benessere delle uniformi convenzioni, nel pacifico mare tranquillo del qualunquismo, quello che appaga il dualismo manicheo buono-cattivo, brutto-bello. O meglio bello-scemo, brutto-intelligente. E anche cultura-intrattenimento, ricchezza-crudeltà, povertà- mitezza, e così via.
Viene una gran nostalgia del pensiero forte, fortissimo, del comico Catalano: non sarà preferibile essere belli e intelligenti? Ricchi e solidali? Artisti e astemi? Occupati e garantiti? Belli e bravi? Bravi e ricchi? Insomma in mille felici e radiose combinazioni?

Invece la divina ipocrisia bacchettona che tanto deve alla chiesa e qualcosa anche alle aberrazioni del vetero femminismo sposa festosamente alcuni principi indicatori del primato dell’invidia come motore del pensiero unico, alcune convinzioni dimostrative di un appassimento del desiderio di armonia estetica, alcuni capisaldi di una cultura punitiva e sacrificale, in linea peraltro con la pedagogia governativa.
In realtà l’etica e l’estetica di regime come spesso succede sono di solito imposte al popolo ma non praticate dai potenti. La bellezza è peccaminosa se adorna gioiose e sfrontate popolane, panorami gratuiti, lavori scelti per passione e non per lucro. Per quanto riguarda noi plebei, dovrebbe essere irraggiungibile, perché monopolio e appannaggio delle caste, che se la comprano, la custodiscono lontano dai nostri occhi in severi palazzi, meglio ancora in caveau e casseforti perché attiente alla materia finanziaria del profitto e dell’investimento. Il che non è certo una novità nemmeno per uomini e donne attraenti che hanno messo a frutto le loro doti più o meno cinicamente, ché mica le bonone in tv o a Arcore o a Hollywood sono vittime assoggettate a una cultura dei consumi dei corpi, mentre certamente lo sono quelli degli operai, delle donne delle pulizie e anche delle schiave del sesso che rabbrividiscono sull’Aurelia.

La bellezza incanta, fa sorridere, incrementa la voglia di libertà, aiuta la ribellione, deve essere per quello che viene tanto criminalizzata, dai brutti e dai potenti che la temono ugualmente. Fa venir voglia di amore, senza obblighi e costrizioni, per questo non piace a quei prelati che comunque se ne agghindano e circondano con dovizia come si vede oggi tu tutti i giornali. D’altra parte Vangelo e preghiere dicono che la Madonna era piena di grazia e il carisma di Cristo era fatto anche dell’incanto di una aerea biondezza, di un corpo avvenente, di una voce armoniosa e potente.
L’ostilità per la bellezza è una patologia del mercato, che finora non è stato in grado di acquisirla tutta e trasformarla in merce. Ma è sulla buona strada, grazie al diffuso bacchettonismo, che non sarebbe così rischioso se riguardasse solo le cosce, ma che può essere impiegato, livoroso e risentito, per controllare anche la purezza e bontà dell’acqua per tutti, le spiagge libere sulle quali star stesi a guardarsi il cielo sempre più blu, l’aria pulita.

Sussiegose mezze seghe – non amo il turpiloquio ma mi pace mutuare dal folgorante Fofi – la censurano quanto volonterosi severi. E è meglio non fidarsi né degli uni né degli altri:. ministre che fanno strame dell’aspirazione e dei diritti del lavoro e al lavoro delle donne, che si sdegnano per la magnificenza esuberante di una soubrette peraltro spiritosa, o pensatrici schizzinose inclini alla rivalutazione di peli superflui e modi belluini come fossero virtù della naturalità e intelligenti prerogative di genere.
Fino a ieri c’è stata la somatica di regime, fatta di chimica, chirurgia, alchimia tutte impegnate a mantenere una fittizia artificiale giovinezza fino all’immortalità, da comprare a caro prezzo, fidelizzandosi a un ceto arricchito e accumulatore e conformandosi ai suoi modelli estetici e immorali.

Adesso pare sia il momento dell’estetica della punizione, altrettanto ingiusta e altrettanto innaturale, e quella della catarsi purificatrice del sacrificio. Hanno proposto e imposto modelli e speranze di accumulazione, opulenza, egoismo e edonismo e adesso dobbiamo essere penalizzati per averli desiderati e praticati. Ci colpiscono nelle certezze per indebolirci e nei diritti per annientarci. I loro indumenti severi non sono delle divise, sono delle livree e vogliono fare di questo bel paese un discount e di noi degli schiavi, come sono loro.


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