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Una lacrima ci fregherà.
E' sempre così, puoi vedere il film più anonimo, puoi vedere il film più noioso, ma se nel suo finale riesce a smuoverti qualcosa dentro, basta, sei fregato: uscirai dalla sala sollevato o malinconico quanto basta per essere convinto e per salvare quanto visto.
D'altronde, gli sceneggiatori questo trucchetto lo sanno bene, chiamali stupidi.
Non fatevi ingannare da questa introduzione, però, perchè La Famiglia Bélier non è un film né anonimo né noioso, anzi, campione d'incassi in patria è arrivato da noi forte di critiche positive e di un tam tam che sicuramente quelle lacrime sul finale hanno aiutato a farlo rimanere nella classifica del boxoffice per un mese buono.
La Famiglia Bélier è però un film che ha i suoi difetti, proprio a livello di sceneggiatura -tra l'altro- che si risollevano e vengono facilmente dimenticati con quel finale, non buonista, non del tutto giusto, ma molto molto commovente ed efficace.
A salvare il film basterebbe comunque il suo soggetto: una famiglia speciale e folle composta da un padre contadino grezzo e schietto, una madre ex reginetta di bellezza, un figlio minore in preda agli ormoni adolescenziali e una figlia in piena adolescenza tra cotte e problemi femminili.
La specialità sta nel fatto che solo quest'ultima è capace di parlare e di sentire, gli altri sono invece sordomuti, che comunicano con lei con il linguaggio dei segni, e con il mondo proprio tramite lei, Paula.
Sulle sue giovani spalle stanno quindi sia gli affari della loro fattoria e del commercio del formaggio, sia quelle più dirette come la scuola dove, vedi tu il destino, scoprirà di avere letteralmente una voce da far sentire, una voce da soprano incredibile che l'insegnante di coro vuole far emergere, istruire, per farla approdare alle scuola di canto Radio France a Parigi.
Si apre inevitabilmente una lotta interiore: partire per un destino tutto nuovo allontanandosi da una famiglia che non sempre la capisce ma che ha bisogno di lei, o restare, proprio per aiutarli e sostenerli?
E se di mezzo ci si mette l'amore travagliato per il compagno di coro Gabriel?
E se quei genitori tanto buoni quanto folli si trovano doppiamente feriti dall'idea di essere abbandonati e dal fatto di non poter capire, non poter letteralmente sentire, le capacità di loro figlia?
Messa così, la trama è di quelle intriganti anche perchè in mano ai francesi si sa che non ci sarà troppo spazio per il buonismo, ma le battute politically scorrect (sugli handicap come sulle questioni razziali, per non parlare del sesso) fioccheranno, impreziosendo il tutto con un cast affiatato e divertente.
Peccato però che attorno a questa storia ridotta all'osso vengano percorsi più e più rivoli: dall'amica facile al fratello che se ne infatua, dal passato di un professore che lo rende acido innamorato poi della preside, dalla discesa in politica del padre con tanto di dibattiti e interviste presto messe da parte, a compagne di scuola mean girl e dissidi paterni del ragazzo ricco di turno.
Insomma, sarà anche che queste storyline non vengono approfondite, servendo come accessori, ma mettono non poca confusione al tutto, non aiutate da personaggi macchietta e da un montaggio che va di sequenza in sequenza, lasciando però ampio spazio ai momenti musicali, veri brividi.
Ed è qui che La Famiglia Bélier ti frega, con quella voce potente che Louane Emera si ritrova, con le canzoni che il genio incompreso del maestro Thomasson le fa cantare (tutte di Michel Sardou).
E allora, dal duetto in coppia con Gabriel, al canto al buio a fior di vibrazioni fino all'ultima esibizione da pelle d'oca, le lacrime arrivano a scendere copiose, con il pubblico che si ritrova a tirar su con il naso, a cercare in borsa dei fazzoletti (chiedete anche al giovine), ritrovandosi a luci accese con gli occhi gonfi e lucidi, e il mascara un po' sbavato, uscendo dalla sala con il cuore pieno di emozioni, e con un film a cui si ha perdonato tutto, pronti ora a consigliarlo.
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