Se non sei avvezzo alla visione tetraedrica dell’essere umano ed a quella olografica dell’universo tridimensionale, ti consiglio di leggere questo post prima di procedere.
Chiunque a questo mondo è interessato a conoscere i fili che lo tengono collegato a tutto il resto. Tra gli altri, i legami più evidenti tra le persone sono quelli parentali; nonni, genitori, figli, nipoti e via dicendo, la famiglia nel senso comune. Di questa, propria e altrui, si occupano gli appassionati di genealogia che non sono gli anziani topi di biblioteca che ci si aspetterebbe, bensì analisti che studiano a tutti gli effetti la trasmissione del DNA. Siamo nella sfera del corpo al 100%, piena virtualità.
A mio parere, questa visione dei legami propri a ciascun individuo non solo è parziale ma si riduce proprio alla sfera meno “reale” delle quattro che ci competono. Ciò porta inevitabilmente le persone a sovraccaricare la loro famiglia terrena di tutte le aspettative che invece mi pare giusto distribuire anche alle altre parentele, a ciascuna secondo il proprio ambito di competenza.
Il legame con i propri parenti terreni è corporeo, materiale, pratico. Sangue, DNA, insomma. La famiglia terrena è un gruppo di corpi che condividono una parte delle loro doti fisiche, del patrimonio genetico. La famiglia terrena ideale è una squadra di corpi che si aiutano e si proteggono a vicenda consapevoli che nel computo di una famiglia tradizionalmente intesa convivono menti ed anime differenti. La funzione primaria della famiglia terrena è, in quest’ottica, quella di garante della salute fisica – o quanto meno della sopravvivenza – dei suoi appartenenti. A questo ‘dovere’ collettivo familiare, prettamente materiale ed imprescindibile, si aggiunge poi il ‘piacere’ individuale e facoltativo che si realizza nel sostenere i compagni di squadra nel loro percorso evolutivo alla scoperta, comprensione e coscienza della propria mente, della propria anima e dello spirito del mondo. Un sostegno che a mio parere si realizza al meglio se chi lo offre fornisce strumenti d’apprendimento ed occasioni di scelta; non, come troppo spesso accade, se impone regole educative, ossia banalizzazioni approssimative di cosa sembra giusto o non giusto fare.
I legami familiari terreni sono sopravvalutati, è palese. La stragrande maggioranza delle persone è convinta che quelli che gironzolano in salotto siano gli unici parenti che ha. Questa mancanza di consapevolezza è foriera di incomprensioni che si manifestano in attriti. C’è una copiosa letteratura relativa alle problematiche familiari terrene e ciascuno ne conosce almeno una parte perché ha contribuito alla sua stesura vivendola sulla propria pelle.
“Ma chi sarebbero, allora, gli altri miei parenti?”
Anzitutto è necessario stabilire una definizione di ‘famiglia’ su cui convenire. Abbiamo visto come la famiglia tradizionalmente intesa sia un gruppo di persone che hanno stretti legami ‘di sangue’. In generale, possiamo definire col termine ‘famiglia’ un gruppo di entità aventi un comun denominatore, collegate da un filo conduttore, detentrici di un bene comune. I parenti terreni condividono parte del DNA, questo è il loro comun denominatore, il loro bene comune da salvaguardare e proteggere. Essi però non condividono né lo spazio, né il tempo, né l’energia.
Che non condividano lo spazio è evidente; il nostro bisnonno, dall’oltretomba, ce lo conferma. Che non condividano il tempo è altrettanto ovvio; il nostro bisnonno, dall’oltretomba, ci conferma anche questo. Che non condividano l’energia è infine ovvissimo. Se così non fosse, il bisnonno sarebbe in salotto davanti alla tivvù insieme agli altri ed invece è nell’oltretomba.
“Ma allora io cosa condivido coi miei parenti terreni?”
Un trilocale uso foresteria e il telecomando, se va bene. E il DNA, non scordiamocelo.
Prima di passare ai parenti con cui ho legami più stringenti, voglio dare un consiglio non richiesto agli appassionati di genealogia: “Capovolgete i vostri alberi”. Ho detto tutto.
Cominciamo con la mia famiglia animica, composta dagli altri che condividono la mia stessa anima. Questi ‘fratelli da parte di anima’ sono sparsi nel tempo, nel passato e nel futuro. C’è chi dice che s’assomiglino e che siano sei, con me sette, ma non è detto. Con loro posso condividere lo spazio e l’energia ma per farlo devo trovarmi nel posto giusto. Il posto giusto è quello in cui la mia anima c’è e sta comoda. Credo che chiunque abbia almeno un posto del genere al mondo e che sia buona cosa trovarlo. Quando lo si trova e ci si aggancia alla propria anima, allora si entra a pieno titolo nella famiglia animica. I componenti sono sparsi nel tempo, condividono l’anima ma non il corpo e nemmeno la mente. Hanno sempre a che fare con lo spirito del mondo, che è uno e dappertutto, ma in momenti differenti e quindi possiamo dire che in senso stretto non condividono nemmeno quello.
Se la funzione primaria della famiglia terrena è la tutela del corpo dei suoi componenti, allora vien da sé che la funzione della famiglia animica è la gioia dell’anima che è il bene comune, il legame. Cosa possono fare, quindi, i fratelli animici? Possono aiutarsi reciprocamente ad essere felici. Ma come farlo a secoli di distanza dagli altri, ignaro di chi siano stati i fratelli animici precedenti e, ovviamente, di chi siano i prossimi? Semplice. Aiutando tutte le anime ad essere felici. Così, nel mucchio, avrò aiutato anche i miei fratelli.
La famiglia spirituale è più facile da trovare di quella animica perché ce l’abbiamo tutti davanti agli occhi (mi perdonino i ciecati). Lo spirito è la mia famiglia spirituale. Il mondo, l’universo, il pianeta Terra ne sono intrisi e tutti ne siamo partecipi: uomini, animali, vegetali, minerali e persino i cinesi. Si badi, lo spirito non è il Sole o la volta celeste o chissà cos’altro. Lo spirito è ciò che tutte le cose hanno in comune, il trait d’union. Quindi i miei parenti da parte di spirito sono tanti, variopinti e multiformi: cani, gatti, ragni, carote, banane, oleandri, sassi, calcinacci, ruggine di ferro, cinesi, etc. etc.
Come la famiglia terrena ideale tutela la salute del corpo e quella animica la gioia dell’anima, così ogni parte della famiglia spirituale ideale protegge l’integrità del tutto nel comune percorso di apprendimento. Uno per tutti e tutti per uno. L’insieme tutela le parti e le parti tutelano il tutto. La scelta della collaborazione appare palesemente la migliore allo scopo. Perchè è più evidente in questo caso e non, ad esempio, nel caso dell’anima? Perché lo spirito è un pò come un bambino che non può farsi male. Se si sbuccia da una parte, cicatrizza subito dall’altra. Lo spirito è dappertutto in un solo istante, non ha paura del dolore fisico perché non lo conosce. L’anima invece lo conosce ma non fa una piega; che ci si creda o meno, l’anima non ha sentimenti. Insomma, lo spirito fa il frocio col culo degli altri e l’anima col cuore.
Ai reggenti del mondo, inebriati dall’indifferenza dello spirito al dolore, qualcuno potrebbe dire:
“Ragazzi, ci può stare un pò di disordine, ma così mi pare che stiamo esagerando.”
“Ma se vuoi costruire una cattedrale, qualche sasso lo devi rompere.”
“Quella dello spirito è davvero una famiglia numerosa, non lo metto in dubbio, cari fratelli della uallera d’oro. Se vi foste limitati ai sassi – ambito di vostra competenza – nessuno avrebbe avuto nulla da eccepire.”
Scusate, schermaglie a tavola.
La famiglia spirituale ideale è quella in cui tutte le parti interagiscono attivamente con le altre, chi più chi meno, ma soltanto sulla base del cosiddetto consenso informato. Ossia se l’altra parte è d’accordo e sa di cosa si tratta. Ciò preserva l’integrità del tutto, il libero arbitrio delle parti e consente l’evoluzione dello spirito. Chi va piano, va sano e va lontano. In qualsiasi famiglia ideale, in effetti, il raggiro non è contemplato.
Riepilogando, fino ad ora abbiamo visto la famiglia terrena, quella animica e quella spirituale. Con gli altri componenti condivido, nel primo caso le disgrazie di questo calvario e nessun asse dell’universo, nel secondo caso l’anima (asse del tempo) e nel terzo lo spirito (asse dello spazio). Forse si può tradurre anche così: i miei parenti terreni sono i miei compagni d’avventura, i miei fratelli animici sono sempre con me, i miei fratelli spirituali sono ovunque con me.
Dulcis in fundo, l’ultima di cui faccio parte è la famiglia della mente. Anche in questo caso si dice in giro che siamo in sette ma non mi ci giocherei la pensione. I sette ‘fratelli da parte di mente’ condividono l’asse dell’energia, quindi stanno su livelli energetici differenti ma in un posto ed in un momento precisi. Cosa significa? Significa che siamo qui e ora, tutti e sette, ma in dimensioni energetiche differenti.
Si pone un problema, perché ‘qui e ora’ è un punto preciso, un incrocio dello spazio-tempo. Anima è vincolata solo dal qui e può ‘viaggiare’ nel tempo quanto le pare, spirito è vincolato soltanto dal ora e può ‘andare’ ovunque gli pare. Mente è vincolata ad entrambi, inchiodata al suo avatar in un punto dello spazio-tempo, ma in compenso è quella che paga la bolletta ed è l’energia che fa girare tutto il carrozzone, che permette al corpo di gironzolare nell’universo tridimensionale, che permette all’anima di librarsi nel tempo ed allo spirito nello spazio. Tutto quanto descritto finora avviene soltanto in un ambiente energeticamente attivo.
“Oibò, cosa vuol dire energeticamente attivo?”
“Vuol dire acceso.”
“E acceso cosa vuol dire?”
“Che non è spento.”
Dirò di più. Spento vuol dire potenzialmente accendibile ed acceso vuol dire potenzialmente spegnibile. Per chiarire il concetto si possono immaginare due sassi posati su un tavolo, belli grossi, uno accanto all’altro. Sono accesi? Sono spenti? Né l’uno né l’altro. Sono inerti, passivi, immobili. Poi si può immaginare che uno dei due sassi si illumini. Non ce n’eravamo accorti ma quel sasso, in realtà è una lampada. Ora sappiamo che lo è perché è accesa e sappiamo che prima di accendersi essa non era inerte, ma spenta. L’altro sasso, invece, era e resta inerte finché non s’accende, se s’accende. A quel punto scopriamo che non è mai stato un sasso inerte, bensì una lampada spenta. Quindi, per poter dire che qualcosa è spento, è necessario sapere che esso può essere acceso. E viceversa. Ora che la lampada è accesa, essa è potenzialmente spegnibile. Da accesa, essa cova una dote: può essere spenta; da spenta cova l’opposta: può essere accesa. Ma tutto ciò non l’avremmo mai saputo se non l’avessimo vista accesa.
Pare ovvio che siamo di fronte ad un dualismo, On – Off.
E qui casca l’asino. Perché noi esseri umani non vediamo il tempo ma ce lo immaginiamo monodimensionale, un asse continuo su cui sognamo di viaggiare, spensierati, avanti e indietro nel passato e nel futuro. L’asse dello spazio, quello di spirito, ce lo raffiguriamo altrettanto continuo… Anzi no, aspetta aspetta… io lo spazio non me lo immagino mica come un asse! Io lo spazio me lo immagino tridimensionale, oh… aspetta aspetta, io non lo immagino – miracolo! – io lo vedo!
“Oibò. Com’è ‘sto fatto?”
Urgono chiarimenti.
1. Purtroppo quelli che in passato, per semplicità, talvolta ho chiamato assi, in effetti proprio assi non sono. Sono insiemi di punti in un ambiente tridimensionale. Sia il tempo, che lo spazio che l’energia, le tre dimensioni del nostro universo insomma, hanno tre dimensioni ciascuna. Tutto sommato la nostra capacità di vedere le tre dimensioni dell’ambiente spaziale è, ai fini di quest’analisi, fuorviante.
2. Tra l’altro noi non percepiamo lo spazio, noi percepiamo la luce e certe altre frequenze che attraversano lo spazio. Noi non vediamo le cose ma la luce riflessa dalle cose.
Il nostro corpo è predisposto a percepire agevolmente ciò che si manifesta sui tre assi dello spazio ed infatti questi li diamo per scontati perché li riconosciamo subito: sù-giù, sinistra-destra, avanti-indietro; x,y,z. Quindi, se qualcosa si manifesta nel nostro mondo e noi ci puntiamo sopra una torcia, possiamo vedere la luce riflessa da quel qualcosa e riconoscere la sua posizione nello spazio. Se quel qualcosa vibra, provoca onde sonore percepibili, allora lo udremo e sapremo, chi più chi meno, inquadrare la sua posizione nello spazio. Anche con l’olfatto possiamo percepire la posizione della fonte di un odore, anche se è più difficile, siamo poco dotati da questo punto di vista, ai cani viene meglio. Il tatto prevede il con-tatto e quindi non è particolarmente utile ad inquadrare la posizione di cose lontane anche se sufficienti vibrazioni dell’aria ci possono comunicare che vi è movimento da qualche parte. Il senso del gusto, comunemente riconosciuto tale, ha poco a che vedere col riconoscimento spaziale delle cose. Suppongo che la funzione primaria del gusto sia quella di permetterci di riconoscere la commestibilità e bontà degli alimenti, ma di sicuro non è l’unica.
Insomma, il mio corpo pare proprio progettato per percepire agevolmente le cose nello spazio. Realizzo intuitivamente lo spazio tridimensionale nella testa perché lo vedo. Sono fatto a quello scopo. Questa mia facoltà è utile alla mia mente ed allo spirito del Mondo perché ad entrambi serve una telecamera che inquadri il ‘qui’. Il mio corpo, che è l’avatar della mia mente, funziona a meraviglia allo scopo, lo vedo.
A pensarci bene, mi accorgo che alla mia mente ed alla mia anima serve anche una telecamera che inquadri l’ora, l’adesso, ossia un momento del tempo. Anche in questo caso è necessario che l’interfaccia sappia incrociare tre dimensioni. (Come sappiamo, una dimensione realizza un asse, due dimensioni realizzano un piano, tre dimensioni un volume. Per individuare un punto in un ambiente tridimensionale sono necessarie sei coordinate disposte due per asse, equidistanti dal punto in questione. 6+1=7). Qualsiasi sia l’ambiente tridimensionale, se l’interfaccia non riconosce alcuna dimensione allora non vede nulla, un volume vuoto; se riconosce una sola dimensione vede un piano; se ne percepisce due vede un asse; se ne percepisce tre riesce ad inquadrare un punto preciso.
“Oibò, se noialtri comuni mortali sappiamo riconoscere il presente, l’istante che stiamo vivendo, l’attimo fuggente, vuol dire che il nostro corpo è in grado di percepire tutte e tre le dimensioni del tempo, anche se i nostri sensi no. Com’è possibile?”
Beh, io credo che si sia trattato di decidere e si sia deciso così. O lo spazio, o il tempo. Mi spiego.
La mente può essere ‘qui e ora’, ma ‘qui e ora’ è statico. A ben vedere serve a poco definire un punto esatto dello spazio o del tempo. E’ invece interessante percepire il movimento all’interno dello spazio o del tempo. Come abbiamo visto, senza movimento non c’è percezione. La luce, le onde sonore, l’aria si muovono. Se non lo fanno, io non le percepisco. No movimento, no party. E d’altronde non sarebbe un party se non fosse movimentato. Quindi si tratta di realizzare il movimento. Lo si può fare in due modi, o nello spazio o nel tempo, non in entrambi contemporaneamente. Noi esseri umani di sicuro non possiamo. Pensa che casino se potessimo muoverci agevolmente anche soltanto sull’asse del tempo che riusciamo ad immaginare! E ce ne sono tre! Impossibile, la mente non potrebbe essere contemporaneamente ‘qui’ in diversi me ieri, oggi e domani, altrimenti ci sarebbe un solo me vivo e infiniti altri me, in carne e ossa, morti lungo tutto l’asse del tempo. E, a ben vedere, la mente non può essere nemmeno ‘ora’ in diversi me sparpagliati nello spazio. Quindi è necessario che il corpo possa muoversi in almeno uno dei due ambienti. Evidentemente si è scelto lo spazio e le conseguenze sono sotto ai nostri occhi.
Cosa sarebbe accaduto se si fosse scelto il tempo? Avremmo percepito il tempo tridimensionamente e lo spazio monodimensionalmente. Il movimento, in quel caso, sarebbe stato possibile avanti e indietro, a destra e sinistra, su e giù nel tempo ma vincolati, in compagnia di tutto il contenuto dell’universo, ad una dimensione spaziale. Non un posto grande come quello dello spirito, quindi, ma un solo punto, un ‘qui’. Talvolta, in questo mondo, qualcuno consiglia: “Vivi l’attimo!” ossia il momento presente. Ecco, nell’altro mondo costruito nel tempo, lo stesso consiglio suonerebbe così: “Vivi il punto!”. Fa molto yoga. Nel contingente conosciuto siamo potenzialmente in grado, in un solo momento della linea del tempo (il presente), di manifestarci ovunque nello spazio. Se si fosse deciso altrimenti saremmo stati potenzialmente in grado di manifestarci ovunque nel tempo ma soltanto in un punto dello spazio (qui). Direi che hanno scelto bene.
Riassumendo. Noialtri esseri umani viviamo in un universo a tre dimensioni – spazio, tempo, energia – ciascuna delle quali si sviluppa, a sua volta, in un ambiente tridimensionale. Io non ci provo più ad immaginarlo, è troppo complicato, non siamo attrezzati. Le tre parti non corporee di me – che convenzionalmente chiamo spirito, mente ed anima – sono bidimensionali, ossia soggette ciascuna a due dimensioni. Lo spirito è ovunque, è il signore dello spazio; l’anima è sempre, è la signora del tempo; la mente è carica, è la signora dell’energia. I tre, salta all’occhio, sono complementari. L’anima può girovagare nel tempo perché ha spazio ed energia definiti. Spirito è libero nello spazio perché è vincolato al tempo e all’energia. Mente ha uno spazio-tempo in cui manifestarsi. I tre, insieme, potrebbero fare quello che vogliono, potrebbero sublimare in una ‘coscienza integrata’. Dio, uno e trino. Potrebbero, ma non accade.
Perché? Perché queste sono soltanto parole. Il problema è passare dalla teoria alla pratica.
Come in ogni ambito della vita, anche in questo caso non devo dividermi. Parteggiare per lo spirito? Per la mente? Per l’anima? No. L’obiettivo non è che prevalga l’uno o l’altra, ma convincermi che il mondo che voglio non è fatto di minacce, competizione, segreti e tristezza, bensì di protezione, collaborazione, condivisione e gioia.
La famiglia ideale, insomma.