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La Famiglia Savage

Creato il 30 luglio 2011 da Giuseppe Armellini
La Famiglia SavageMalgrado creda di averlo detto più di una volta, mi piace ribadire come siano indiscutibilmente due gli attori che a prescindere da film e ruoli riescano sempre e comunque ad emozionarmi. Parlo di Sam Rockwell e Philip Seymour Hoffman. Con il primo l'innamoramento è avvenuto nel sottovalutato Confessioni di una mente pericolosa (opera prima di Clooney) nel quale Sam interpreta meravigliosamente l'incredibile personaggio di Chuck Barris. E' invece nel ruolo di Truman Capote che ho scoperto uno dei veri e propri mostri della cinematografia odierna, Seymour Hoffmann per l'appunto. Vederlo recitare (la stessa cosa mi capita ad esempio con il nostro Servillo, forse 3° mio attore preferito) è quasi un privilegio.
Lo ritrovo in questo "piccolo" film, molto delicato e intimo per il soggetto che affronta (il ricongiungimento di due fratelli per badare al padre non più autosufficiente) ma incapace per qualche motivo di convincere pienamente.
Eppure non mancherebbe niente: la recitazione è maiuscola; al già citato Hoffman, sempre eccezionale, si affiancano Laura Linney (grande attrice), Philip Bosco nel ruolo del padre e Friedman in quello dell'amante. I quattro fanno quasi a gara di bravura e forse è proprio il meno conosciuto, Bosco, ad offrire la prova più grande interpretando in maniera comica e allo stesso tempo melanconica la figura di un vecchio che inizia piano piano ad abbandonare la vita e con lei i propri ricordi. Nella scena in cui abbassa il volume per la lite in macchina o quella della lampada fluorescente si raggiunge quasi il lirismo per bellezza e qualità recitativa. Nondimeno è il livello dei dialoghi, notevolissimo. Quello che c'è ad esempio tra i due fratelli all'esterno dell'ospizio è da antologia e racconta in maniera fredda ed amara tante verità che spesso vengono taciute: "e' il tuo senso di colpa che lo porta qui, tutto questo non è per lui, ma per noi". Ed ottimo è anche il modo con il quale La Famiglia Savage tratta svariati temi come quello, abusatissimo, dei losers 40enni, quello della difficoltà ad amare una persona che non ti ha mai amato ("gli stiamo dando più di quello che lui ha dato a noi"), quello dell'improvvisa maturazione cui spesso la vita ti costringe o quello della spietata analisi di sè. Ottima è anche la contrapposizione tra la cruda realtà che i due fratelli sono costretti ad affrontare e i loro studi e interessi teatrali. Non è un caso che Wendy abbia scritto una commedia molto autobiografica, l'unica maniera, non diretta ma "laterale", per analizzare e raccontare la propria vita.
Il problema è che non si entra mai in completa empatia con i personaggi e che la regista si barcameni un pò troppo tra il comico e il drammatico non riuscendo così ad accontentare in modo completo nessuno, nè chi cercava un film impegnato fino in fondo nè chi ricercava più spensieratezza,  .
Il finale l'ho trovato magnifico e forse emotivamente punto più alto dell'intero film. In 10 secondi c'è dentro di tutto, la speranza, l'ottimismo, la sensazione di avercela fatta e un grande insegnamento: crederci, crederci sempre.
(voto 7,5)

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