Le si sono aggrovigliate le funzioni narrative, in questi giorni. In una maniera così intensa e perturbante da richiamare all’orizzonte un cambio (esplicito) di paradigma.
Questo comporta riflessioni e aggiustamenti, parecchi. Tanto che la ‘povna era quasi tentata dal soprassedere, per qualche tempo, da qualsiasi rielaborazione narrativa.
Nello stesso tempo, non le piace mancare al venerdì del libro (per il quale aveva anche un progetto in serbo). E dunque approfitta della distanza critica per dedicarsi alla scrittura. Parla di un romanzo di Johnny Coe, un’altra volta. E (ri)comincia da What a Carve Up! (tradotto in italiano: La famiglia Winshaw), uno di quei libri definitivi, e splendidi, capaci di dare insieme conto degli anni Ottanta e tatcheriani di cui parlano, così come di quei Novanta strani, eppure densi di promesse (infrante) che qualificano il tempo di stesura.
Come per molti, il primo incontro della ‘povna con Coe nasce con questo romanzo. Che è niente meno che eccezionale, semplicemente: per l’uso della trama, del romance, la folgorante e dickensiana abilità nel tessere le varie spire dell’intreccio; l’ironia sapiente attraverso l’uso consapevole della lingua; il gioco coi modelli, con la citazione e i modi mai fine a se stesso. Per la capacità di mescolare alto e basso, e generi diversi, dalla letteratura, alla musica, alla cinematografia in maniera costantemente appassionata, senza l’insopportabile spocchia di certi intellettuali postmoderni. Una scoperta definitiva, per la ‘povna; prodromo di un amore duraturo. Mai tradito.
Con questo post la ‘povna partecipa alla maratona letteraria settimanale di Homemademamma (è ovvio), ma vorrebbe anche, nello stesso tempo, iniziare un percorso tra le opere dello scrittore britannico, prima di arrivare, dopo una preparazione doverosa e (lei lo spera) appassionante, a parlare della sua ultima fatica.