di Luigi Fressoia
Su “La Voce” del 1° novembre, settimanale delle dio cesi dell’Umbria, è apparsa la lettera di don Piero Becherini gestore della libera scuola materna e asilo nido di Pozzuolo (Trasimeno). E’ una protesta e denuncia della impossibilità a tirare avanti, strozzati alla fine di un lungo processo che vuole chiuse le scuole non statali, paritarie o private che si vogliano chiamare. Eppure -dice il sacerdote- questa chiusura è un autogol per le casse
pubbliche, perché ora la scuola di Pozzuolo costa 122.00 euro all’anno, mentre a parità di personale e alunni costerà allo stato quattro volte di più. Oltre al dispiacere dei molti compaesani che finora hanno beneficiato della libera scuola, fondata ben 84 anni fa.
E’ una lettera che non ha dato luogo al dibattito che secondo noi avrebbe meritato (forse 84 anni fa c’era più libertà di adesso? C’era più libertà nell’aprire una scuola, un ristorante, un’officina?). La politica regionale -consiglieri, intellettuali, partiti, associazioni- non si occupa di queste cose, chissà di cosa si occupa, eppure esiste un grande partito che ostenta nel suo nome la libertà.
Si nota questo: le polemiche politiche di carattere nazionale/generale suscitano sentimenti anche forti o fortissimi in molti cittadini, che però poi stentano a ritrovare nella propria realtà locale, se non nella vita quotidiana, quelle questioni generali per le quali sarebbe pronto a battersi. La scuola -pubblica o privata- è uno di questi grandi argomenti. Se insomma una persona fortemente contraria alla scuola cosiddetta privata legge la lettera
di don Piero e magari ci fa una capatina per vedere e capire, si accorgerà di attenuare la propria ostilità, anche nel caso voglia riconfermare la preferenza verso la scuola esclusivamente statale.
Peccato che nessuno voglia parlare di queste cose, perché sarebbe occasione di reale maturazione del senso civico degli italiani e dunque degli umbri. Emergerebbe che è improprio parlare di scuola pubblica e scuola privata, perché anche quest’ultima è senz’altro pubblica dal momento che tutti possono andarci cioè a nessuno potrebbe esservi interdetto l’accesso; c’è una retta da pagare, ma ovviamente ogni famiglia è libera di scegliere, c’è chi
preferisce cambiare auto frequentemente e chi pagare qualcosa di più per una scuola preferita.
Naturalmente le cosiddette private hanno da essere riconosciute dal ministero, che pretende uno standard di qualità comune e irrinunciabile, ma sopra il quale ogni scuola poi è libera di impostare e gestire come gli pare. La maggior parte delle scuole non statali sono cattoliche, ma nessuno vieta di organizzare una scuola operaia, la scuola britannica… ovviamente le scuole non statali sono largamente presenti e favorite in tutto il mondo libero, molto diffuse in Europa, la netta maggioranza in America.
Dov’è il quid? Il quid non lo vogliamo vedere, perché è urticante, ma si chiama libertà, libertà di educazione in questo caso. E dunque: sta in capo alla famiglia o allo stato? Ovvero: allo stato deve spettare non solo quello standard comune e irrinunciabile ma anche il monopolio su tutta l’impostazione, i programmi, i tempi e i modi? E se fosse questa seconda la risposta giusta, per quale motivo la famiglia dovrebbe essere deprivata della facoltà di scegliere per i propri figli l’educazione che più gli piace? Chi è lo stato, cos’è lo stato? Per quale motivo il ministro dell’istruzione deve poter sapere in qualsiasi momento a quale pagina si trova la classe sperduta dell’ultimo paese? Perché, per quali fini, in vista di quali compiti dello stato?
La libertà è una brutta bestia, capace di rovesciare comodità acquisite, pigrizie, ignoranze. Capace di denudare l’inutilità di molte istituzioni, culturali e politiche. Più che una perorazione in favore della scuola “privata”, quest’articolo è un invito all’incivilimento, qualunque sia -alla fine- il gusto di ognuno; invito alla constatazione paradossale che oggi è diventato impossibile ciò che era naturalmente facile 100 anni fa.