La nonna Liliana non era decisamente una cuoca provetta. Non reggeva il confronto né con le sue sorelle, la zia Margherita e la zia Albertina, né con la nonna Nella. Ma aveva dei piatti che riusciva a fare in modo sopraffino. Non si poteva sapere la ricetta, e non perché la volesse tenere segreta ma perché faceva tutto “a occhio”. Essendo infinitamente golosa, quando si metteva a cucinare era per lo più per fare dei dolci. Poi, qualche volta alla domenica, cucinava la faraona in umido con le olive nere.
E su quella non le si poteva dire nulla. Ricordo che riconoscevo l’odore appena entravo in casa. Correvo in cucina e scoprivo quel grande tegame di coccio sopra i fornelli. Allora la nonna si arrabbiava perché sapeva che avrei fatto due cose che non le piacevano: avrei cercato di fare scarpetta con un cantuccio di pane nel sugo, e mangiato qualche oliva. E lei non voleva perché “si mangia quando siamo tutti a tavola e poi prima ci sono le paste!”
Dovevo aver pazienza di arrivare al momento del secondo ma poi i pezzettini del petto sarebbero stati miei, con qualche cucchiaiata del sugo di cottura e tante olive.
Quella carne compatta e saporita, con quella salsa dove il sapore dolce delle cipolle disfatte si confondeva con il retrogusto amarognolo delle olive.
La mia nonna la preparava così:
carne di faraona (dipende da quanti siete, considerate che mezza faraona corrisponde a tre porzioni)
olive nere secche (quelle cotte al forno raggrinzite)
una cipolla bianca grande (per mezza faraona)
olio extravergine, sale, pepe
un bicchiere di vino bianco secco (chardonnay o vernaccia)
brodo vegetale per la cottura
Anzitutto procuratevi un tegame adatto per una cottura lenta, può essere di coccio come nella tradizione toscana, oppure anche una pentola in ghisa.
Affettate finemente la cipolla a tocchetti e mettetela a rosolare a fuoco basso con almeno due cucchiai di olio extra vergine di oliva (la mia nonna in effetti la affogava nell’olio, anche perché la carne in cottura perde la parte grassa della pelle; devo dire che per quanto non ami i piatti troppo unti, in questo caso tendo anche io ad abbondare con l’olio).
Appena la cipolla inizia ad appassire, alzate il fuoco ed aggiungete la faraona tagliata a pezzi e ben lavata. Fatela rosolare bene a fuoco vivo finché la parte esterna non inizia a diventare brunita. A questo punto, sfumate con il vino bianco, fatelo evaporare e proseguite la cottura coperta per metà, aggiungendo via via il brodo se vedete che risulta troppo secca.
La carne deve cuocere almeno mezz’ora, anche 45 minuti se i pezzi sono grossi. Circa 10 minuti prima della fine della cottura, unite le olive e regolate di pepe e sale (poco perché le olive sono molto sapide).
Finite la cottura e poi lasciate la pentola coperta in modo che la carne possa continuare ad insaporirsi con le olive. Al momento di servire, basta riscaldare qualche minuto.
Quando Vetrina Toscana ha lanciato il contest “Storie di Piatti“, ho subito pensato a come raccogliere l’invito a raccontare le storie della tradizione gastronomica toscana. E non ho potuto non pensare alle mie due nonne. A quante volte le ho osservate da bambina, seduta sulla seggiola da una parte del tavolo, mentre impastavano, tagliavano o cucinavano per tutta la famiglia. A quelle ricette che a loro volta avevano imparato dalle loro mamme e dalle loro nonne. A quei piatti che con i loro odori riempivano la casa. A quei sapori che sono rimasti scolpiti nella memoria, in un misto di sensazioni, affetti, ricordi di adolescente e nostalgia per chi non c’è più. Perché se oggi, care nonne, foste ancora qui con me, vi chiederei chi sa quante cose per riuscire a cucinare come voi. Ma ormai posso solo sforzarmi di ricordare le vostre movenze, i vostri trucchi e segreti intorno ai fornelli nella speranza di ritrovare quei sapori di un tempo. Grazie a tutte le nonne per il patrimonio di conoscenza che ci hanno lasciato. I veri chef siete voi.
Magazine Cucina
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