Chi scrive aveva poco più di dieci anni quando, quella domenica di ottobre del 1967, sentì dire dalla mamma “E’ morto Meroni, sai che lo chiamavano Calimero?”.
Ed ho avuto piacere di sapere che Rai Uno avrebbe trasmesso una fiction sul calciatore del Torino, liberamente tratta dal testo di Nando Dalla Chiesa intitolato “La farfalla granata”.
Purtroppo, la sera che la fiction è andata in onda, il piacere ha lasciato spazio ad un torpore che, in diversi momenti, ha inciso sul livello di attenzione.
Non voglio cadere nella solita retorica secondo la quale la morte in giovane età crea il mito; nel caso di Gigi Meroni davvero si tratta di un personaggio ben oltre sopra le righe.
Note biografiche a parte: l’origine lombarda ed i primi calci al pallone nelle file del Como, l’esperienza significativa al Genoa per poi approdare al Torino ed il rifiuto di un ingaggio dorato alla Juventus, la fiction ha insistito troppo sugli aspetti personali e sulla sua vita sentimentale, a dir poco, per quei tempi, spericolata.
Non è stato dato spazio a quanto è accaduto dalla sera della disgrazia a tutt’oggi quando, ogni volta che il Torino vince, un gruppo di tifosi deposita dei fiori nel punto in cui avvenne la tragedia; Meroni venne investito proprio nel centro del capoluogo piemontese da un’auto alla cui guida c’era un giovane che, in seguito, sarebbe diventato presidente del Torino. Non sono state interpellate le persone a lui vicine che avrebbero potuto raccontare al meglio chi fosse questo giovane che amava i Beatles e disegnare.
Da questo punto di vista un plauso va dato alla trasmissione di Rai Due “Sfide” che, dedicando lo spazio ai numeri “7” del calcio, ha iniziato raccontando proprio la storia di questo giocatore scomparso a soli ventiquattro anni.
Ho già avuto occasione di scrivere di calcio e del “Grande Torino” ed in quella circostanza ho intitolato il pezzo “Quando il calcio era bello”. Pensando al rifiuto di Meroni di passare alla Juve potrei titolare: “Quando nelle squadre esistevano le bandiere”.
Profilo di Virginia Cerrone
Ho lavorato per trent'anni nel settore delle telecomunicazioni. Giornalista per vocazione, ho collaborato con giornali locali di Roma e del litorale pontino, scrivendo di arte e attualità.
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