Nonostante la critica e l’autocritica rimangano sempre e comunque la cifra stilistica di questi post, complice un principio di influenza (care le mie televisioni generaliste, invece che farmi iniziare subito male la giornata con il volto di Alfano, perché non avvisarmi della non opportunità di indossare le open toe convinta sia ancora estate quando fuori si gela?) e la morte interiore post fashion week, sono in quella fase mansueta in cui me ne fotto di tutto e al contempo amo il genere umano. Momento che assicuro sarà comunque brevissimo, ma che mi permette di fare qualche considerazione positiva in merito alla settimana della moda appena conclusa.
Premetto che manderei subito a farsi un giretto nel girone dantesco degli Ignavi tutti coloro che, all’avvicinarsi di Milano Moda Donna, squittiscono “Oddio, che meraviglia!”, “Ma quanto sei fortunata!”, “Che invidia!” e “Tieniti stretta il tuo lavoro!”. Cazzate, cazzate, cazzate. Per quanto dall’esterno possa apparire attraente e supercool, per gli addetti ai lavori la Mfw è una gran rottura di balle . Ma chi non bazzica il settore giustamente non lo capisce e finisce per esprimere ammirazione incondizionata come farebbe un maschio qualsiasi davanti a Rocco Siffredi: non capendo, cioè, che fare una bella cosa 24 ore al giorno significa automaticamente farne una brutta.
Chi si gode le sfilate è colei (o colui) che arriva in taxi, preferibilmente su un tacco 10, con il vestitino corto anche se fuori ci sono 10 gradi perché tanto di metri all’aperto ne fa tre, si accomoda sulla sedia – rigorosamente in prima fila -, ammira il siparietto, posa per qualche foto e fa come Baglioni, ovvero si leva dai coglioni (scusate, ma mi ero ripromessa di usare questa espressione prima o poi). NON è divertente, invece, per chi arriva in ritardo (causa sfilata precedente), completamente in pezza e lavora sodo – preferibilmente dietro le quinte – per la buona riuscita del siparietto stesso.
Purtuttavia e nonostante i vari sbattimenti (public relation del tutto evitabili alle 9 di sabato mattina, lavoro nei weekend, falsità a raffica, gente vestita come al battesimo del primogenito, e via discorrendo) devo ammettere che a ‘sto giro la Mfw mi ha regalato anche qualche gioia. Felicità che, come insegna Krakauer, è vera solo se condivisa, e che dunque mi sento di spartire con voi. Ecco cinque chicche che, come dicono nel mondoh della modah, made my day alla Milan Fashion Week 2013:
- La collezione Zero di Stefano Pilati per Agnona. Il trionfo della leggerezza, della morbidezza, del buon gusto, dell’understatement di classe. Tipo che ci dovrebbero fare un giretto le varie starlette che si vestono con le t-shirt di Happiness per avere finalmente un insegnamento dalla vita su che cosa è una donna, e come può essere sensuale senza sembrare una zoccola da diporto.Voto 10+
- La presentazione di Sergio Rossi. Che le scarpe di Sergione non siano semplici copripiedi ma veri e propri gioielli, credo di non essere esattamente la prima a dirlo. Ma oltre ad avere un merito simile, questa volta Sergione si è proprio superato e mi ha condotto nella location dove, mi sono ripromessa, il fortunato un giorno mi inanellerà come si deve. Il mio futuro sposo adesso non lo sa, ma un giorno mi chiederà in moglie nello splendido Palazzo Cicogna, una di quelle perle qui a Milano così nascoste che da perfetta milanese quale sono non conoscevo assolutamente. Vi dico solo che quei gioielli firmati Sergio Rossi erano posati su tavoli, sedie e divani di questa villa cinquecentesca e in un attimo mi sono sentita la Marchesa d’Aragona. Al mio posto e superbona.
- La sfilata di Andrea Incontri nella Sala delle Cariatidi. Che detto così suona molto di “Whoooooo?” e “Whereeee?”, ma vi assicuro che è stato un défilé davvero di tutto rispetto. Al di là della location (splendida, ma ci tengo a precisare comunque ZERO rispetto al luogo dove mi mariteranno), la collezione era meravigliosa. Asciutta e romantica, come piace a me in fatto di moda.
- Il compleanno di Moschino. Il marchio ha compiuto 30 anni e, oltre a regalarsi una sfilata piena di giuuuoia e ricolma di modelle-baccanti che più che sfilare si dimenavano impazzite per la gioia degli astanti, ha festeggiato con l’apparizione sul finale di Gloria Gaynor a cantare dal vivo “I am what I am”. Pubblico impazzito, goliardia fatta a sfilata, sana follia dentro e fuori dalla passerella. Per quanto mi riguarda, così come dovrebbe essere l’intera settimana.
- Per finire, la presentazione di Ballin. Da bravi veneti un po’ mitomani quali sono (e ne hanno tutte le migliori ragioni del mondo, visto che Scusate se fanno le scarpe a Jimmy Choo, giusto per dirne uno) hanno ambientato le proposte della nuova collezione nella splendida cornice del Circolo della Stampa, creando una capsule collection in onore del Casanova, con tanto di costumi originali dell’epoca. Giù il cappello, e biglietto subito prenotato per Venezia. No ma grazie signora Ballin, altri 120 euro buttati così, sull’onda di un innamoramento estemporaneo.
Di cose belle e buone e soprattutto bone dal mondo ce ne sarebbero ancora un po’, ma perdonatemi ora devo andare a scrivere qualche email farsissima (oggetto: DioquantoeribellaallasfilatadiStellaJean,staviinformissima!!!) e a preparare una pastina seguita da latte caldo e miele. Meno male che al prossimo giro mancano ancora sei mesi.
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Il post La Fashion Week vista con gli occhi dell’ammore, scritto da Chiara Ferraglia, appartiene al blog Così è (se vi pare).