Magazine Cultura

La «fatua» Fata Morgana

Creato il 16 settembre 2011 da Natale Zappalà


Il territorio reggino mostra talora delle denominazioni ormai consuete che serbano il ricordo di grossolane imprecisioni e distorsioni storiche, le quali non fanno altro che mettere in pericolo la comprensione e la valorizzazione dell'identità e delle radici culturali rigorosamente autoctone. É il caso del fenomeno ottico, peculiare dell'Area dello Stretto, noto come «Fata Morgana» La «fatua» Fata Morgana

Appare lampante constatare che tale definizione si rifà alla mitologia celtica e ai poemi cavallereschi del ciclo bretone aventi per protagonisti Artù, Merlino e, per l'appunto, Morgaine Una denominazione che dunque calzerebbe bene in Cornovaglia o in Bretagna, ma che non ha nulla da spartire con il patrimonio di memorie ancestrali reggine.

Furono i Normanni, nell'XI sec., a ri-ambientare nell'Area dello Stretto miti e leggende di ascendenza nordica, talvolta manipolando o distorcendo materiali autoctoni, così come dimostra il caso de «La Canzone d'Aspromonte», poema cavalleresco di stesura originaria romeo-bizantina, i cui protagonisti, cavalieri pesanti greci in lotta con gli Arabi di Sicilia e di Africa Settentrionale, furono trasformati dai Normanni nei paladini di Carlo Magno.

Un riadattamento arbitrario questo, in grado di spiegare perchè in Sicilia, oltre a esistere il toponimo «Capo d'Orlando», si fabbricano ancora i «pupi» di Rodomonte o Gano, sebbene Carlo Magno non sia mai giunto sulle rive dello Stretto di Messina.

La «fatua» Fata Morgana

Molte pagine Internet e diverse pubblicazioni del settore riportano racconti e leggende inerenti la Fata Morgana, stando ai quali la bellissima sorellastra di Re Artù si sarebbe stabilita fra l'Etna e il Capo Peloro, ingannando i marinai ivi passanti coi fenomeni ottici di rifrazione: le città di Reggio e Messina si riflettevano sul mare, attirando navi ed equipaggi, convinti di stare per approdare, fra le sue mortifere braccia.

Non ci vuole molto tempo per capire che la suddetta storiella rappresenta una maldestra rifunzionalizzazione delle vicende legate ai mostri omerici Scilla e Cariddi, con una sostanziale differenza: Scilla e Cariddi, oltre a costituire una tradizione consolidatasi a partire dalla fine dell'VIII sec. a.C., ambientata nell'Area dello Stretto già da Tucidide alla fine del V sec. a.C., e che, soprattutto, diversamente da quella della Fata Morgana, testimonia avvenimenti storici reali e concreti – l'espansione greca nel Mediterraneo e il ruolo strategico dello Stretto di Scilla (così come allora veniva definito) nell'ambito degli antichi itinerari marittimi –, e non echi di sovrani, popoli e culture stranieri. In definitiva, la futura pianificazione di opportune strategie di tutela e di valorizzazione dell'identità e della cultura reggina non possono assolutamente conciliarsi con la disinformazione in merito al nostro passato. Il rischio è quello di lasciar naufragare il grande pubblico dalla parziale ignoranza alla totale confusione.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :