Giovedì 17 Maggio 2012 09:24 Scritto da marco.ernst
La mente gli si schiarì piano piano. non sapeva perché si trovasse lì né chi fosse. Sentiva di essere vivo, di esserlo sempre stato, ma ora provava nuove sensazioni: il calore del sole, il fresco della brezza serale, l’inebriante silenzio delle notti del bosco e il dolce risveglio al canto degli uccelli e del ruscello. Si guardò le mani, le giunture spigolose, i piedi, ed ogni cosa di sé che riusciva a vedere. Non cercava di capire chi fosse diventato e per quale motivo si trovasse in quelle spoglie: accettava la cosa e basta, perché sapeva che così era scritto che doveva essere e così era stato.
Il vecchio era rimasto stupito da quel suo burattino: era ben fatto, i perni agivano a regola d’arte seguendo i movimenti delle cordicelle, ma al momento in cui egli tentò di dargli la sua voce, il burattino PARLO’ da solo! Diceva cose belle, frasi d’amore e di poesia, parlava della natura, raccomandava di volersi bene, raccontava solo di cose buone. Ed il suo tono era sempre scherzoso. I bambini lo elessero subito a loro beniamino ed accorrevano sempre più numerosi, e volevano solo lui. Ed il vecchio, che aveva raccontato favole per tutta la vita, volle credere anche a questa: non se ne stupì più, muoveva il burattino e lasciava che questo parlasse con la sua voce dolce e ridente.
Aveva capito subito quale era il suo compito: era predestinato, era insito nel legno, nei suoi nodi, da secoli. Ed era bella la sua missione: regalare un sorriso, una parola di speranza, una massima saggia, un bonario rimprovero. I bimbi si stupivano di come il burattino conoscesse i loro nomi, fosse sempre al corrente delle loro marachelle. Ridevano e battevano le mani. E lui si inchinava ringraziando “lo spettabile pubblico”. Aveva imparato a conoscere i bambini uno per uno, ad amarli a consolare i più bisognosi e sfortunati. Sotto la giubba di fustagno marrone c’era solo legno, non c’era un cuore, ma fra gli spazi del legno c’era. uno spirito, un’anima: un’anima grande e generosa. E gioiva all’affetto dei suoi spettatori. Solo a sera li vedeva andar via e gli spiaceva. E allora avrebbe voluto seguirli, restare sempre con loro. Ma aveva solo un’anima: non muscoli. Senza i fili, senza il burattinaio che li manovrava, era solo un povero pezzo di legno che pensava e gioiva e soffriva. “Aspettatemi, portatemi con voi” gridò. Ed il suo grido era rià coperto dalle grida dei bimbi che correvano via. Capì che li divertiva, che per loro era bello stare con lui alcune ore, ma l’amore, quello no, non potevano darglielo, perché non si può amare un. pezzo di legno. Dagli occhi si sciolse un po’ di vernice azzurra insieme ad una lacrima.
Il vecchio era preoccupato: che cosa accadeva al suo miglior burattino? Si era spenta quella specie di luce che aveva negli occhi. Aveva ridipinto il colore che si era sciolto (maledetta umidità, aveva imprecato, mi rovina sempre tutto il lavoro) ma non era più riuscito a ricreare quello sguardo. E poi quando parlava non diceva più cose allegre: raccontava storie tristi, di solitudine, di morte. Ma i bimbi erano sempre lì e lo ascoltavano a bocca aperta.
Come tutte le sere i piccoli corsero via ed egli pianse in silenzio l’unica lacrima che riuscì a spremere dal suo legno stagionato. Ma quella sera un bimbo, il più piccino, era tornato a cercare la sua palla. Gli si fece incontro: “Ciao, burattino, sei stato bravo anche oggi: ma perché piangi? Io ti voglio bene” e prima di correre a raggiungere g1i altri, gli sfiorò la gota con un bacio.
Il vecchio oramai non si stupiva più di nulla. non si chiese neppure perché improvvisamente al suo burattino fosse di uovo tornata quella luce negli occhi