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La fedeltà, filo d'oro che unisce gli animali all'uomo

Da Astorbresciani

La fedeltà, il filo d'oro che unisce gli animali all'uomo

Il primo fu Argo. Il cane che Ulisse aveva addestrato alla caccia prima di partire per l’assedio di Troia attese per vent’anni il ritorno del suo padrone. Come si legge nell’Odissea, viveva disteso “su cumuli di letame di muli e buoi addossato dinanzi all’ingresso” della casa, tormentato dalle zecche. Era vecchio e cieco quando Ulisse, travestito da mendicante, tornò a Itaca. Il cane lo riconobbe, agitò la coda per la felicità e abbassò le orecchie prima di morire felice per avere rivisto colui che amava e di cui serbava il ricordo indelebile. Si racconta che Ulisse versò di nascosto una lacrima. 

A chi non è capitato di commuoversi per esperienza diretta o al racconto di come un cane, e per estensione molti altri animali, possa essere fedele? Nei tempi moderni, grazie alla facilità con cui le notizie sono veicolate, abbiamo saputo di migliaia di episodi simili e ne basta citare pochi per capacitarsi che un animale, non necessariamente domestico, può provare per l’essere umano a cui il destino lo ha affidato sentimenti così forti e duraturi da lasciarci senza parole e insegnarci molto. Uno dei casi più noti è quello di Hachikō, un cane di razza Akita vissuto dal 1923 al 1934, divenuto famoso per la sua fedeltà nei confronti del suo padrone, il professor Hidesaburo Ueno. Hachikō non si rassegnò alla sua morte e ogni giorno, per quasi dieci anni, si recò ad attenderlo invano alla stazione ferroviaria dove l’uomo era solito prendere il treno. Hachikō è diventato un simbolo di fedeltà e lealtà prima in Giappone e poi, grazie all’omonimo film del 2009 interpretato da Richard Gere, in tutto il mondo.

Ci sono stati altri cani come Hachikō, forse ancora più tenaci. Potrei citare Greyfie Bobby, il terrier inglese che visse sulla tomba del suo padrone per quattordici anni prima di morire, nel 1872. Oppure l’italianissimo Fido, un trovatello di Borgo San Lorenzo, in provincia di Firenze, che attese alla fermata dell’autobus, anche lui per quattordici anni, il ritorno a casa del suo padrone, morto in un bombardamento aereo durante la Seconda Guerra Mondiale. 

I cani non sono gli unici animali capaci di creare un vincolo d’amore così struggente con l’uomo. Anche i gatti si affezionano tantissimo ai loro padroni, per quanto si creda che siano più legati alla casa e non a chi ci vive. Abbiamo esempi famosi di cavalli che si addolorarono alla morte del loro cavaliere. L’Iliade ci tramanda la storia di Balio e Xantho, i cavalli che Achille donò a Patroclo, del quale piansero la morte con il capo chino. La fedeltà fra l’uomo e la sua cavalcatura è spesso reciproca. Sovente, quando l’animale è vecchio, destinato a morire per primo, sono gli esseri umani a mostrare un amore e una gratitudine non comuni. Mi vengono in mente due episodi. Alessandro il Grande che tributa immensi onori al suo destriero Bucefalo e gli dedica una città. E Garibaldi, che premiò la sua leggendaria giumenta bianca con cui aveva combattuto in Sicilia e risalito l’Italia fino al Volturno. Ormai vecchia, Marsala fu, infatti, portata sull’isola di Caprera, dove visse libera e semiselvaggia fino alla fine dei suoi giorni. Anche i delfini sono capaci di amore e fedeltà verso gli umani. Oppiano ci ha tramandato la storia antica della tenera amicizia tra un fanciullo e un delfino che accorreva quando sentiva il suo richiamo. Il delfino prendeva il cibo dalle mani del ragazzo e per ringraziarlo lo portava sul dorso, in mare. Quando il fanciullo morì, anche il delfino morì a causa del dolore per la sua scomparsa. Potrei citare altri cento aneddoti, vecchi e moderni. Mi limito a considerare che succede spesso che animali feroci allevati in cattività da cuccioli e poi liberati, come i leoni, riconoscano molti anni dopo l’essere umano che li ha allevati e non lo aggrediscano, anzi si lascino andare e tenerezze commoventi. Nei giorni scorsi, ho letto la notizia di un impiegato dello zoo di Rotterdam, un uomo malato terminale di cancro che prima di morire ha voluto rivedere gli animali di cui si era preso cura. Arrivato allo zoo, una giraffa ha allungato il collo e lo ha baciato. 

Perché gli animali sono fedeli? Perché ci amano anche quando non lo meritiamo? Bisogna chiarire un punto: gli animali non sono guidati dal solo istinto. Non agiscono solo per assecondare i bisogni naturali. Gli animali hanno un’anima, lo dice il nome stesso. La loro anima è capace di emozioni, il loro cuore produce sentimenti. Chi pensa il contrario è una bestia. E come tale agisce, pensando che gli animali siano cose e non creature viventi, siano al nostro servizio e non abbiano diritti. C’è una sola espressione emotiva, a parte la facoltà di parola, preclusa agli animali ed è una prerogativa umana: Il riso. Non c’è da meravigliarsi, glielo abbiamo strappato molti millenni fa, quando abbiamo deciso di mangiarli, sfruttarli, maltrattarli e farli soffrire per il nostro divertimento. Nonostante ciò, gli animali riescono ad affezionarsi a noi e a mostrarsi migliori di noi. Gli animali non conoscono il tradimento, la calunnia, la cattiveria gratuita. Gli animali domestici in particolare ignorano il principio do ut des. Ci danno amore incondizionatamente. Purtroppo, capita spesso che in cambio ricevano ingratitudine e malvagità. Ma loro, imperterriti, ci sono fedeli. Perché? Perché sono uniti a noi da un filo sottile che ci ricorda la comune origine, l’unica matrice. Siamo tutti creature di Dio e tutti, uomini e animali, abbiamo diritto a essere liberi e felici. 


Dovremmo fare un esercizio, di tanto in tanto. Metterci di fronte a un animale e fissarne lo sguardo chiedendoci “chissà cosa pensa di noi?”. La risposta la suggerisce il filosofo Nietzsche. “Temo che gli animali vedano nell’uomo un essere loro uguale che ha perso in modo estremamente pericoloso il suo intelletto animale, vedano in lui l’animale delirante, l’animale che ride, l’animale che piange, l’animale infelice”. Il paradosso è che se un’animale potesse parlare si rivolgerebbe a noi umani per dirci “Non fare la bestia”. Eh già, perché sorge il dubbio che gli animali siano meno bestiali dell’uomo. Un’ultima cosa. Leggete la favola dei fratelli Grimm intitolata “i fedeli animali”, se non l’avete mai fatto. Non vi dico altro.


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