LA FELICITÀ È DAVVERO CONTAGIOSA
di Elena Meli
Si sa, il riso è contagioso. Ma lo è pure un sentimento complesso e profondo come la felicità, a prima vista l'emozione più privata e personale che ci sia. Esser felici è (anche) una questione di gruppo, perché se lo sono amici, vicini e parenti sarà molto più probabile che lo diventiamo pure noi.
L'ha appena scoperto Nicholas Christakis, un sociologo di Harvard, che ha scandagliato la vita di oltre 5 mila persone per verificare se le reti sociali, quell'intrico di relazioni più o meno strette che abbiamo con gli altri, abbiano qualche effetto sul nostro benessere.
I dati raccolti in vent'anni di osservazioni, pubblicati ora sul British Medical Journal,
dimostrano che la felicità è un benevolo virus trasmesso soprattutto dagli amici. Per diffondersi ha bisogno del contatto (la probabilità di diventare felici per interposta persona si affievolisce se l'amico "cuor contento" abita lontano), ma è così potente da "infettarci" perfino con tre gradi di separazione: se è felice l'amico dell'amico di un nostro amico, per imperscrutabili motivi finiamo per star meglio pure noi.
Siamo invece immuni dalla felicità dei colleghi e, a sorpresa, è più contagiosa la felicità dei vicini di casa di quella del partner (perché la convivenza, forse, è più stressante delle liti di condominio).
«Siamo animali sociali: già sapevamo che vivere in mezzo agli altri è importante per il nostro benessere- osserva Federico Colombo, presidente della Società italiana di psicologia positiva -. Il dato davvero nuovo è che non basta frequentare tante persone per sentirci meglio, occorre che queste siano felici. Perché felicità non significa solo soddisfare i propri desideri personali, ma anche dare un senso alla propria vita attraverso il rapporto con gli altri».
Prima di togliere il saluto agli amici depressi, c'è da chiedersi se sia vero anche il contrario: chi va con lo zoppo impara a zoppicare?
«Certo, avere intorno qualcuno che si lamenta sempre rende più difficile restare felici. Ma nessuno è mai pessimista al 100 per cento, in più chi è felice riesce comunque a cogliere aspetti positivi che l'altro non vede: in altri termini anche l'umore nero è contagioso, ma in misura minore » assicura Colombo.
Facciamo però un passo indietro: siamo così sicuri che sia semplice definire un concetto ineffabile come la felicità? Fior di studi hanno cercato di dirci che cos'è e di misurarla, ma neanche gli esperti si sono messi d'accordo: «Secondo alcuni la felicità è un' emozione soggettiva, di breve durata: possiamo solo aspettare (e sperare) che ci "cada" addosso, senza poter far molto per trattenerla spiega Colombo.
«Si è fatta strada, però, anche l'idea opposta - continua - e cioè che la felicità sia una condizione durevole, che consiste nel provare più emozioni positive che negative. È naturalmente più probabile che siano felici gli estroversi e chi ha molte relazioni, ma anche chi dà valore alla propria felicità e orienta le proprie scelte in modo da ottenerla, o chi ha obiettivi chiari e lavora per raggiungerli. La felicità quindi si può imparare. O, meglio ancora, possiamo costruircela».
Non esiste una ricetta valida per tutti, ma qualche consiglio forse sì. E a Natale servono eccome: per alcuni luminarie e auguri sono la cifra del periodo più nero dell'anno, quando stress e depressione si accentuano (a fine dicembre aumentano gli infarti, e non è un caso). Tanto che viene da chiedersi se la felicità obbligata del Natale sia anch' essa positiva e contagiosa, o non sia invece deprimente. «Se viviamo le riunioni di famiglia come un vuoto rituale, la felicità altrui lascerà il tempo che trova. Se le vediamo come un'occasione per raccontarsi e rinsaldare i legami, le feste possono aiutarci a costruire la felicità. Tutto sta nel cercare di dare un senso che sia vero per noi stessi a ciò che facciamo» conclude lo psicologo.
Corriere della Sera 21.12.08