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La festa del Calendimaggio di Assisi

Creato il 28 aprile 2013 da Goodmorningumbria @goodmrnngumbria

Storia della festa più importante dell’anno per gli abitanti di Assisi

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L’origine della festa è assai antica, ma il modo in cui viene celebrata in Assisi è del tutto nuovo e originale. Per dare alcune stringatissime notizie si può dire che la festa si tenne per la prima volta nel 1927: cantori delle diverse “cappelle” cittadine si riunivano sotto la direzione dei maestri della banda per cantare serenate ispirandosi a consuetudini dei tempi andati. Venne sospesa durante la seconda guerra mondiale e ripresa nel 1947. Nel 1954, iniziativa di alcuni intellettuali assisani assunse la struttura che, sostanzialmente, conserva tuttora. La città si divide in due parti “Parte de Sopra” e “Parte de Sotto” e tra le due si gareggia per la conquista del “Palio”. La divisione riecheggia le lotte che videro le due fazioni contendersi il potere sulla città tra XIV e XVI secolo, fino
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a ridurla allo stremo. Ma la gara di oggi è divenuta disfida “cortese”, anche se assai vivace, basata sul confronto tra i cori polifonici delle parti, sulla riuscita dei cortei in costume e sulla perizia nel rappresentare scene d’ambientazione medievale nei siti più caratteristici della città. Un confronto, quello tra le parti “De Sopra” e “De Sotto”, in cui si cerca di sfruttare al meglio il patrimonio competenze acquisite in circa un cinquantennio di tradizione di Calendimaggio, dalla cui esperienza sono usciti formazioni o singoli professionisti dei vari settori della festa: musica, teatro, danza. Conta per l’esito della gara la bravura dei cori, la coerenza tra costumi, musica -eseguita dal vivo con riproduzioni di strumenti d’epoca- e situazioni: inventate, scritte e rappresentate. Il lasso di tempo al quale le “parti” si riferiscono per organizzare la manifestazione, oscilla tra XIII ed XV secolo. La giuria che deve assegnare il palio è composta da
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storici, musicologi e musicisti, esperti di spettacolo (registi, attori). La formula della festa dei nostri tempi è totalmente inventata, ma l’ispirazione da cui è nata e lo spirito che la fa vivere, sicuramente non lo sono. In essa sono presenti tutte le componenti essenziali della festa, la componente ludica, quella agonistica che però non giunge mai all’esasperazione, il travestimento.

L’atteggiamento di chi partecipa ai giochi di questo Calendimaggio non dovrebbe essere molto diverso da quello di coloro che, danzando e cantando, partecipavano all’innalzamento dell’”albero di maggio” sulla piazza di S. Rufino, nei secoli passati. Non è facile spiegare cosa sia il Calendimaggio.

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Evidentemente per i cittadini di Assisi, è più facile viverlo che raccontarlo, il Calendimaggio; tanta è la differenza fra quel che gli assisani sono durante tutto l’anno e ciò che diventano in questi tre giorni, anzi in tutto il periodo di preparazione della festa. Solitamente scanzonati, un po’ apatici, retrivi al coinvolgimento, in questi tre giorni in cui tutto viene stravolto e tutto cambia, gli autoctoni della città del Poverello danno fondo a energie individuali e di gruppo per ritrovarsi insieme a costruire il “sogno

di primavera” al di là delle divisioni di censo, di cultura, di età. Così comincia la festa: ideare, ricercare documentarsi in biblioteca o in archivio, per non incorrere, per quanto possibile, in anacronismi troppo sfacciati e, infine, costruire per mesi il “favoloso Medioevo”. Il Medioevo, contenitore temporale

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del gioco del Calendimaggio, richiamo ancestrale che si impone ineluttabilmente per coloro che sono nati in questa città, è un Medioevo che non ha rigidi riferimenti cronologici, ma per tre giorni ci inghiotte nel gorgo del suo mistero affascinante, che è tale perché pur essendo un tempo tanto lontano dal presente, attira tutti dappresso, poiché ogni pietra di questa città ce ne parla. Finalmente arriva la sera delle “scene”; non è facile descrivere ciò che si prova; la finzione a lungo e meticolosamente preparata si perde nella realtà, il “jeans” lascia posto alla calzamaglia, il soprabito alla pazienza, il cappello al camauro. Illuminate solamente dalla tenue luce delle fiaccole, le vie non sono più quelle che percorse ogni giorno in macchina o a piedi, sono altre, differenti, vie di un paese che esiste una volta all’anno e, così ricreato, vive una volta e mai più. Il garage diventa una bottega di artigiano, il giardino un gineceo, una via si trasforma in mercato, i fondi e le piazzette divengono cucina, taverna, bordello… Quei vicoli diventano il vero abito della festa, l’abito della festa, cucito ed ornato con tanta pazienza ed infine indossato con naturalezza come il più comodo e gradito dei vestiti. Sensualità, dissacrazione, trasgressione sono il sale che condisce il Calendimaggio e non soltanto nella proposizione scenica, sono anche e soprattutto le componenti di quello strano stato di irrequietezza e di voglia di divertirsi che prova ogni “partaiolo” in questi giorni, in cui bere un bicchiere di vino in più, non è peccato nemmeno per il più morigerato degli “assisani” (o assisiati, che dir si voglia). La musica accompagna ogni atto del gioco, anzi dei giochi, d’altronde il Calendimaggio è nato come disfida canora e la sfida dei cori polifonici in Piazza del Comune è il momento culminante dell’inno che le Parti rivolgono alla primavera. La musica vocale e strumentale eseguita durante le scene e i cortei è attinta, dal repertorio musicale dell’ “Europa” Medioevale e Rinascimentale, ma è pure inserita, perché non se ne perda la memoria, quella musica che costituisce il patrimonio della tradizione orale delle ubertose campagne locali, il cosidetto “canto a recchia”, interessante reminiscenza di melodie antiche con testi affidati alla memoria e all’inventiva dei cantori. Tutto questo diviene tradizione della Parti, un altro elemento che serve ad aggregare a fare corpo. Nelle taverne che vengono approntate per il periodo della festa ormai si cantano, alla meglio, alcuni Carmina Burana o una Chanson a Boire del XIV secolo, ripetuta più volte dai cori, come pure “fioretti” inneggianti al vino e all’amore, ma anche “dispetti” rivolti contro “quelli” della parte avversa. Oppure si cantano le canzoni con cui è nato il Calendimaggio, come per esempio “Nella notte buia e nera” del maestro De Lucia, poco medievale, ma che ha fatto trepidare i cuori di partaioli e partaiole più anziani e quindi, attraverso loro, è entrata nel complesso delle emozioni e suggestioni comuni delle Parti. Ancora serve la musica per far partecipare alla festa quei partaioli che vi assistono dalle tribune, i quali per l’età o per gli impegni di lavoro non si sono messi in costume; ebbene la festa è anche loro e potranno cantare insieme a chi è in costume sulla Piazza del Comune, ma anche in taverna per i vicoli, una canzone che diverrà patrimonio comune tra tutti i partaioli; la festa non è festa se non è “corale”, questa è una delle differenze fondamentali tra il Calendimaggio e le varie “rievocazioni di medioevo” che sono nate un po’ ovunque. Ciò che avviene ad Assisi nei tre giorni di Calendimaggio non è solo finzione. Nei personaggi che si vedono interpretare la loro vicenda tra espedienti e peripezie, durante le scene o nei cortei, gli assisani impersonano loro stessi. Così sono proprio gli assisani quel popolo tripudiante, vestito in abiti medioevali, riunito nella Piazza del Comune: sono i cittadini che vivono il sogno che ogni anno viene a liberarli dalle piccole noie della quotidianità. La festa di Calendimaggio, insomma, non è una festa rappresentata; essa è vissuta intensamente, totalmente, in una zona franca dalle categorie del tempo, dello spazio e delle convenzioni sociali di cui è costituita la realtà di tutti i giorni e di ogni luogo.



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