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La fiera dei serpentidi Harry Crews

Creato il 11 giugno 2013 da Tiziana Zita @Cletterarie

dirt-road-in-cornfield-irwin-county-ga-photo-copyright-brian-brown-vanishing-south-georgia-usa-2009Una volta all’anno la popolazione di Mystic, in Georgia, terra di Flannery O’Connor e roccaforte di un’America fieramente sudista, si cimenta in ciò che mostra anche uno dei più divertenti episodi dei Simpsons: quello in cui l’intera cittadina di Homer si dedica alacremente alla caccia al crotalo in una (per noi) inconcepibile Festa delle Mazzate.
Non v’è qui però alcuna traccia dello scanzonato humor dei «gialli» (con tanto di happy-end canterino assieme a Barry White). Qui la routine cittadina è impregnata di demenza e i litri di scadente torcibudella che grondando dalle pagine accompagnano il lettore in visita ad una realtà profondamente violenta, oscurata da convinzioni ottuse e bifolche. Harry Crews, con questo suo romanzo breve – La fiera dei serpenti, Meridiano Zero, 218 pagine – ci trascina nell’angoscioso sfogo annuale di una tipica provincia meridionale a stelle e strisce, mostrandoci un’umanità decisamente scalena, composta per lo più da perdenti, gente a cui la vita ha sottratto (o si è lasciata sottrarre) qualsiasi vero scopo lasciandosi intrappolare in una cittadina ubicata Oltreoceano ma che senza troppe difficoltà potrebbe somigliare a qualsiasi cittadina del mondo, anche quella appena oltre il giardino di casa nostra. 

Luoghi come ce ne sono a migliaia in cui le ambizioni

Waiting to whisper Filippine
franate e i sogni irranciditi ricoprono ogni cosa d’una insopportabile patina di sconforto. E così nulla aiuta a smaltire la frustrazione che riempie le giornate degli indigeni: non i rapporti sociali (soprattutto quelli tra consanguinei), ingolfati dalla violenza domestica più becera, né tantomeno quelli sessuali, consumati sovente in uno squallore assai penoso; persino l’amore è destinato a provocare solo travasi di bile destinati a rimanere senza cura.
Il romanzo è un bel viaggio verso verso il basso in un crescendo che testardamente conduce il lettore verso il truculento finale, là dove il sangue imbratta l’intera vicenda senza uno straccio di catarsi. Lo stile è diretto e asciutto (ma lavorato al cesello), il linguaggio sboccato come si conviene ad un baluardo della narrativa southern contemporanea, con punte di incredibile efferatezza. Uno scandaglio nelle regioni più recondite dell’animo umano che non lascia scampo: consigliatissimo a chi non si aspetta alcuno sconto da una buona storia.


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