Margherita Hack è stata una figura di riferimento nel panorama dell'astrofisica italiana e internazionale. Prima donna alla direzione dell'Osservatorio Astronomico di Trieste, si è guadagnata un posto significativo nell'Accademia Nazionale dei Lincei e, oltre a numerose pubblicazioni, ha fornito importanti collaborazioni all'Agenzia Spaziale Europea e alla NASA ed è stata insignita della medaglia d'oro per i benemeriti della scienza e della cultura e del titolo onorario di Dama di Gran Croce dell'ordine al merito della Repubblica italiana. Oltre che per i titoli che si legano al suo nome, Margherita Hack è nota a tutti per la sua propensione all'ironia, per le genuine abitudini di vita e per la forte cadenza toscana che non poteva che farci sorridere.
Ho avuto il piacere di ascoltarla una volta dal vivo, qualche anno fa, in occasione di un pomeriggio universitario dedicato alla figura di Ipazia di Alessandria, donna che aveva sostenuto le ragioni della scienza fino alla morte, ma, in generale, ho sempre apprezzato i suoi interventi, anche quando si confrontava con esponenti della chiesa cattolica (ricordo in particolare un dibattito sul rapporto fede-ragione tenutosi a Verona fra la Hack e il vescovo della città) o quando sosteneva le ragioni delle fasce sociali che spesso sono oggetto di polemica da parte di coloro che usano la religione come pretesto per dettare regole di vita: ecco, dunque, che l'abbiamo vista schierarsi in favore degli omosessuali e prendere posizione in favore della possibilità di ricorrere all'eutanasia. E poi è stata atleta, amante della bicicletta, padrona di diversi gatti, animalista, vegetariana, candidata comunista in Lombardia e moglie devota al punto di entrare per la prima e unica volta in chiesa proprio per sposarsi.
La Professoressa Hack è morta stamani, a 91 anni, nell'ospedale triestino in cui era stata ricoverata una settimana fa per problemi cardiaci.
Alla brutta notizia, non ho potuto evitare di ricordare i suoi pensieri riguardo alla morte, all'accanimento terapeutico e all'aldilà. L'ateismo e il materialismo di Margherita Hack sono dati ben noti: chiunque l'abbia sentita disquisire di scienza, di vita e di morte, sa benissimo che ella era una seguace della teoria (proclamata già da Epicuro) secondo la quale la materia è un'aggregazione di particelle che possono comporsi, combinarsi, scomporsi e assumere nuove forme, senza mai sparire, ma, semplicemente, trasformandosi.
«La morte non mi fa paura, mi basta andarmene senza troppe agonie, senza troppe sofferenze. Poi mica sparisco: mi trasformo in una molecola, e in un modo o nell’altro rimarrò ancora su questa terra. Non mi interessa nemmeno se sarò ricordata o meno: non sarà più un problema mio.» [1]A mio avviso, si tratta di un'idea affascinante, in cui si mescolano il razionalismo tipico dello scienziato e l'idea che, in fondo, nel mondo, di necessità, tutto torni: un corpo, quale che sia il suo stato, ne farà sempre parte. Penso che immaginarla così, sempre fra noi, possa aiutarci a sentire un po'meno il peso della perdita di un pilastro della cultura italiana.
«Tutta la materia di cui siamo fatti noi l’hanno costruita le stelle, tutti gli elementi dall’idrogeno all’uranio sono sati fatti nelle reazioni nucleari che avvengono nelle supernove, cioè queste stelle molto più grosse del Sole che alla fine della loro vita esplodono e sparpagliano nello spazio il risultano di tutte le reazioni nucleari avvenute al loro interno. Per cui noi siamo veramente figli delle stelle.» [2]
C.M.
NOTE:
[1] Testimonianza raccolta da Federico Taddia, che riporta oggi su La Stampa le sue ultime conversazioni con la scienziata fiorentina.
[2] Intervista su Cortocircuito.